Ninni Raimondi -  Maggio 2020 - -© Copyright all over the World                             
 
 
 
 
 
 
Nei tre giorni che seguirono, Danielle vide Antoine assai di rado.  
Lui era sempre fuori ma, anche quando lavorava a casa, si teneva a debita distanza. Faceva colazione prima che lei si alzasse, non rientrava all'ora di pranzo, e il loro unico contatto avveniva a cena. Marie, che era ritornata a lavorare due giorni dopo Natale, intuiva che doveva essere successo qualcosa, ma Danielle non riusciva a confidarsi nemmeno con lei. 
 
Il terzo giorno, quando Antoine rincasò per cena, lei si accorse subito che non stava bene. Stentava a inghiottire il delizioso arrosto che gli aveva preparato, e respirava a fatica. 
“Non ti senti bene, Antoine? Non hai mangiato nulla!” Lui la fissò con aria annoiata. “E se anche fosse?” 
“Dovresti andare a letto.” Ebbe una breve esitazione. “Vuoi che chiami il medico?” “Sto benissimo, grazie tante” rispose lui sarcastico. “Non ho appetito, ecco tutto.” Ma in quel mentre fu travolto da un'ondata di nausea. “Santo cielo!” mormorò con una smorfia. 
Danielle gli toccò la fronte e si accorse che scottava. “Adesso te ne vai a letto. E subito!” Questa volta Antoine non protestò. Salì le scale con passo vacillante e si buttò sul letto con aria stravolta. 
Dopo avergli deterso il viso con un fazzoletto, lei gli slacciò la camicia e la cintura dei calzoni. 
 
“Posso fare da solo” borbottò lui risentito, scostandola da sé. “Per l'amor del cielo, vattene via!” aggiunse poi battendo i denti. “Mi riprenderò tra un attimo.” 
Con una fitta d'apprensione, lei uscì dalla stanza e scese dabbasso, dove mise sul fuoco un pentolone d'acqua. Frugando nella credenza, trovò tre capaci boule che colmò d'acqua caldissima. Quando ritornò di sopra, Antoine giaceva pallido e  tremante sotto le coperte. 
“Porta via quella roba!” ansimò lui disgustato. “E vattene!” 
“Vuoi prenderti una polmonite?” lo redarguì lei con asprezza. “Ragiona, Antoine! Desidero solo aiutarti.” Scostò le coperte con decisione e rimase senza fiato. Antoine dormiva nudo. Ecco perché, quando rifaceva la sua stanza, non trovava mai il pigiama! Orientando lo sguardo verso la testiera del letto, depose le borse dell'acqua calda e rincalzò le lenzuola. “Hai un pigiama?” gli chiese a disagio. 
“Ne dubito.” 
“Ma dovrai pur indossare qualcosa!” “Non ne ho mai avuto bisogno.” 
Lei emise un sospiro. “Ti porto un'aspirina. La prenderai?” “Solo se te ne starai alla larga” ruggì lui tossendo. 
Danielle si allontanò con passo energico. Non aveva nessuna intenzione di seguire le sue direttive. Antoine era un uomo malato, ed era compito suo sincerarsi che si curasse a dovere. 
Prima di coricarsi, passò da lui ancora una volta e si accorse con sollievo che si era addormentato. Respirava a fatica, ma perlomeno stava riposando. Con una scrollata di spalle, andò a dormire anche lei. 
Fu svegliata a notte fonda dal convulso tossire di Antoine. Dopo un attimo di esitazione, sgusciò fuori dal letto e, infilandosi la vestaglia in fretta e furia, si precipitò in camera sua. 
 
Antoine, appena cosciente, si rigirava nel letto senza posa. Gli scottava la fronte, ma lui era scosso da brividi di freddo. 
Rimboccando le coperte, Danielle gli deterse il viso sudato con una pezzuola. Doveva trovare il modo di fargli scendere la febbre, pensò inquieta. Senza perdere un attimo di tempo, s'avviò verso la vecchia camera del padre in cerca di un pigiama. Trovò una striminzita casacca di flanella e un paio di mutandoni di lana. Ritornò quindi al capezzale di Antoine e, con una determinazione che non credeva di possedere, lo aiutò a vestirsi. 
Lui tentò di divincolarsi ma, stravolto com'era dalla febbre, finì con l'arrendersi. Si rendeva a malapena conto di quello che gli stava accadendo. Ma lei, sì, che se ne rendeva conto, pensò imbarazzata, evitando di posare lo sguardo sul suo corpo muscoloso. 
 
Gli indumenti erano troppo piccoli per Antoine. I calzoni gli arrivavano a metà polpaccio, e sul davanti la casacca non si allacciava. Ma perlomeno gli copriva le spalle e la schiena. 
Radunate le boule, Danielle scese in cucina a svuotarle. Mentre tornava a riempirle d'acqua caldissima, alzò lo sguardo verso l'orologio appeso al muro. Erano le due dopo mezzanotte. 
Sforzandosi di mantenere la calma, salì in fretta le scale e si precipitò da Antoine che continuava ad agitarsi nel sonno. Infilò le boule sotto le lenzuola e si fermò a guardarlo con aria incerta. Non c'era nient'altro che potesse fare, ma era evidente che non poteva lasciarlo solo. 
Aprendo le ante dell'armadio, afferrò una coperta di lana e si sistemò alla meglio sulla vecchia poltrona di vimini che occupava un angolo della stanza. Di lì a poco scivolò in un sonno senza sogni. 
Fu ridestata all'improvviso dal roco delirare di Antoine. Scostando la coperta, si alzò in piedi e si avvicinò al letto. 
“Louise...” mormorò lui ansimando. “Non avresti dovuto farlo...” 
Danielle si passò una mano sul viso, senza sapere che cosa fare. Antoine continuava a tremare come una foglia. Il pigiama e le borse dell'acqua calda non avevano sortito l'effetto di abbassargli la febbre. 
 
All'improvviso le venne in mente una soluzione. Se si fosse adagiata nel letto accanto a lui, avrebbe potuto riscaldarlo con il calore del proprio corpo. 
Senza levarsi la vestaglia, s'infilò svelta sotto le lenzuola. Il letto era grande, e Antoine giaceva al centro. Trattenendo un fremito, Danielle gli si accostò per gradi e gli  rimboccò le coperte intorno al collo. Rimase immobile per alcuni secondi. Il suo timore era che lui, svegliandosi di colpo, si infuriasse con lei. 
Ma in capo a dieci minuti, Antoine smise di rigirarsi e sprofondò in un sonno tranquillo. La crisi era passata. Sentendosi già più sollevata, lei abbozzò un sorriso e si assopì senza quasi rendersene conto. 
Riaprì gli occhi che era giorno fatto. Il sole entrava a fiotti dalla finestra. Si chiese sul momento dove si trovava. La stanza non le era familiare, e non riusciva a capire che cosa le premesse sul seno. Un alito caldo le sfiorò la guancia. Girando il capo con cautela, scorse Antoine. Dormiva ancora e, sebbene fosse molto pallido, non era più così sudato. Aveva steso un braccio sopra di lei, come se desiderasse trattenerla. Danielle evitò di muoversi per alcuni secondi, chiedendosi come avrebbe fatto a  liberarsi da quella stretta possessiva. Con un senso di profondo stupore, si accorse che non aveva nessun desiderio di alzarsi. Stava bene in quel letto, con Antoine al suo fianco. Come le sarebbe piaciuto se, al risveglio, lui l'avesse abbracciata con tenero trasporto! 
Ma il loro non era un matrimonio normale. Se lui l'avesse trovata nel letto, accanto a sé, altro che abbraccio! L'avrebbe cacciata di certo dalla stanza! 
Spostandogli la mano con infinita delicatezza, si alzò in piedi e, calzate le pantofole, si girò a guardare il suo irascibile paziente. La febbre era calata, ma sarebbe tornata a salire di lì a poco, in assenza di una cura medica appropriata. Era necessario chiamare un medico. 
Dirigendosi verso la sua camera, consultò l'orologio. Santo cielo, erano le nove passate! Marie sarebbe arrivata a momenti, e lei non era ancora vestita. 
S'udì all'improvviso un colpo alla porta. Senza indugiare oltre, Danielle scese dabbasso e, spalancato l'uscio, si ritrovò a fissare la servetta. 
"Si parla del diavolo e spuntano le corna", pensò costernata. 
“Non ha sentito la sveglia, "madame"?” esclamò la ragazza sorpresa. “E' ancora in vestaglia!” Appoggiando la borsa sul tavolo di cucina, guardò il camino ancora spento. “E "monsieur"? E' rimasto a letto anche lui?” Scoppiò in una risatina maliziosa. 
Danielle corse subito ai ripari. “Sì, non ho sentito la sveglia” dichiarò pronta, “ma il signor Antoine è ammalato. Penso che si tratti di una forma influenzale. C'è un medico al villaggio?” 
“A Clervaux, no, "madame"“ spiegò Marie corrugando la fronte. “Ma so per certo che ce n'è uno a Lauviens. Vuole che lo faccia chiamare?” 
“Ti spiacerebbe?” domandò Danielle con aria speranzosa. “Io non so guidare, e non me la sento proprio di lasciare solo mio... mio marito.” Come sempre, le riusciva difficile riferirsi ad Antoine come al suo legittimo consorte. 
Marie si diresse verso la porta. “Andrò a dire a mio fratello di recarsi a Lauviens, "madame".” 
“Grazie, Marie. Sei molto gentile.” 
“Farò in un attimo” fece l'altra uscendo a precipizio. 
Rimasta sola, Danielle salì a lavarsi e, dopo essersi vestita, scese a rassettare la cucina. Mentre era intenta ad accendere il fuoco, Antoine comparve sulla soglia. Si era vestito alla meglio e aveva un aspetto spaventoso. 
“Che cosa ci fai qui? Non dovevi alzarti!” 
“Perché non mi hai svegliato?” domandò lui irritato. “Devo trovarmi ad Anciens per le undici. Ho un appuntamento con Gilbert.” 
“Vorrà dire che lo rimanderai!” dichiarò Danielle in tono di sfida. “Non puoi guidare in queste condizioni! Torna a letto!” 
“Neanche per sogno!” 
“Oh, Antoine” mormorò lei supplichevole. “Sei ammalato. Dovresti riguardarti!” Lui s'infilò il giaccone. “Non farne una tragedia! Sto benissimo.” 
“Ma non è vero!” lo contraddisse lei. “Vai a coricarti, ti prego.” 
“Senti, non ho mai trascorso un giorno a letto da quando mi sono trasferito a Clervaux” osservò lui con esasperazione. 
“Si vede che non sei mai stato così male!” commentò Danielle sbrigativa. Antoine si guardò intorno. “Dov'è Marie? L'ho sentita arrivare.” 
“L'ho mandata al villaggio.” “Perché?” 
“Mi mancava lo zucchero” mentì lei prudente. 
 
In quel mentre Antoine fu colto da un violento accesso di tosse. “Dammi qualcosa da bere, presto!” ansimò a fatica. 
Danielle corse a riempire un bicchiere d'acqua. “Tieni, bevi un po'“ gli disse porgendoglielo. “Mi darai retta, ora?” 
Lui annuì con aria sconfitta. “Va bene, torno a letto. Ma nel pomeriggio intendo alzarmi. Ci siamo capiti?” 
Lei fece segno di sì, anche se riteneva che Antoine fosse stato troppo ottimista. Lo accompagnò in camera senza dire una parola. 
“Me l'hai messo tu, il pigiama?” domandò lui ironico. “Stavi tremando” replicò lei sulla difensiva. 
“E così mi hai vestito come un bambino” rise lui. “Be', non sono imbarazzato. Non ho nulla da nascondere.” 
Lei gli allungò il pigiama. “Faresti meglio a rimetterlo” gli consigliò a disagio. 
“Se proprio devo” sbuffò lui. Posò lo sguardo sulla poltrona di vimini su cui era appoggiata la coperta che lei si era scordata di riporre nell'armadio. “Hai dormito qui?” 
“Sì” fece Danielle laconica. “Ero preoccupata per te.” Si incamminò verso la porta. “Vado a preparare il caffè.” 
Il dottor Gervaise arrivò un'ora dopo. Danielle si era ben guardata dal rivelare ad Antoine che lo aveva mandato a chiamare. 
 
Lui si lasciò visitare con estrema riluttanza. 
Diagnosticando un'influenza, il medico prescrisse alcuni antibiotici e ordinò al paziente riposo assoluto. 
Dopo aver scortato il dottore alla porta, Danielle ritornò da Antoine aspettandosi una scenata. 
Lui le rivolse uno sguardo risentito. 
“La scorsa notte deliravi” si discolpò lei. “Ho dovuto chiamarlo!” 
“Va bene” brontolò lui di malumore. “Ma non sperare che segua le sue prescrizioni. Mi alzerò domani, con o senza febbre.” 
 
Scrollando le spalle, Danielle gli porse una pastiglia e, dopo essersi sincerata che la mandasse giù, scese dabbasso a sbrigare le faccende di casa. 
All'ora di pranzo cucinò una deliziosa omelette con cui tentare il suo capriccioso paziente. Ma Antoine non aveva appetito. “Non ho fame” le disse scostando il piatto. “Vuoi un po' di frutta? Del formaggio?” 
“No, ma avrei voglia di una tazza di caffè.” 
“Te la porto subito” accondiscese lei. “Insieme a una pastiglia.” 
La giornata si trascinò lenta. Verso sera, quando gli antibiotici incominciarono a fare effetto, Antoine smise di tossire. Dopo essersi sincerata che dormisse tranquillo, Danielle andò a coricarsi, ma le riuscì difficile prendere sonno. Il ricordo della notte precedente continuava a ossessionarla, insieme alle parole che suo marito aveva mormorato mentre era incosciente. 
Si domandò per un attimo chi fosse Louise. Era un nome piuttosto comune, ma non era quello della prima moglie di Antoine. Danielle si morse le labbra al pensiero che potesse trattarsi di un'amante occasionale. La zia paterna che le aveva scritto qualche tempo prima si chiamava Louise, ma era piuttosto improbabile che lui avesse invocato una parente alla lontana. Ripensando alla lettera della Senneville, Danielle fu colta dai rimorsi. Nella speranza di convincere Antoine ad accompagnarla a Parigi, aveva tardato a rispondere. 
 
Ripromettendosi di farlo al più presto, fosse solo per ringraziare l'anziana signora, si girò sul fianco. 
Le rincresceva l'idea di dover rinunciare a quel viaggio a Parigi. D'altro canto, non aveva alcuna voglia di recarvisi da sola. 
Chiudendo gli occhi, si sforzò di dormire, ma non era cosa facile. Che cos'altro aveva detto Antoine? Qualcosa di strano. Ecco, adesso se lo ricordava! "Non avresti dovuto farlo". Fare che cosa?, si chiese incuriosita. E a chi era riferita quella frase? Alla fantomatica Louise? Emettendo un sospiro, Danielle si lasciò infine vincere dal sonno. 
Il mattino seguente Marie non si presentò al lavoro, e verso le dieci Armand, suo fratello, che Danielle conosceva appena, passò a dirle che la ragazza era indisposta e che non sarebbe venuta nemmeno nel pomeriggio. Lei ne fu contrariata. Aveva parecchie commissioni da sbrigare giù al villaggio, ma senza Marie non avrebbe potuto assentarsi. Antoine stava ancora male, e lei preferiva non lasciarlo solo. 
Il dilemma fu risolto dall'arrivo di Don Charles.  
 
Danielle non lo vedeva dal giorno di Natale. 
“Ho appreso solo stamane che Antoine è ammalato” esordì il prete preoccupato. “E così sono venuto a trovarlo.” 
“Ha fatto benissimo” esclamò Danielle allegra. “Venga, l'accompagno da mio marito.” Antoine accolse il parroco con un sorriso. 
“Allora, caro amico, che cosa ti è successo?” domandò il prete. “Tu, confinato a letto? Non l'avrei mai creduto!” 
Danielle alzò gli occhi al cielo. Ma era una cosa da dire a un uomo che, com'era risaputo, detestava l'idea di essere ammalato? 
Ma, con sua grande sorpresa, Antoine scoppiò a ridere. “Sa com'è, avevo voglia di farmi coccolare. Ho un'infermiera coi fiocchi.” 
Danielle sgranò gli occhi. Erano giorni e giorni che non lo vedeva così di buonumore. Di solito la trattava a pesci in faccia, tacciandola di crudeltà mentale tutte le volte che gli somministrava le medicine. “Resta a pranzo da noi, padre?” domandò con voce piatta. 
“Ma certo!” intervenne Antoine. “Porta su un vassoio anche per lui. Ho proprio voglia di fare quattro chiacchiere.” 
Danielle ritornò in cucina indignata. Antoine era deciso a irritarla. Non aveva mai mostrato il desiderio di parlare con lei! 
 
Nondimeno, la presenza del prete le consentì di scendere al villaggio subito dopo pranzo. Pur indossando gli abiti di tutti i giorni, era più carina che mai. I capelli castani le ricadevano ai lati del viso in morbide ondulazioni, e il viso, appena arrossato dal freddo, esprimeva grande vitalità. 
Mentre entrava nell'unico negozio di alimentari del paese, fu urtata da un giovane alto e moro. 
“"Excusez-moi, mademoiselle"“ asserì questi compito. 
Aveva parlato con un accento così marcato che Danielle non poté trattenersi dall'esclamare nella sua lingua madre: “Ma lei è inglese!”. 
L'uomo la fissò stupito. “Sì, "mademoiselle"“ mormorò scrutandola con aperta ammirazione. “Lei pure?” 
“Solo in parte” ammise lei. “Sono cresciuta in Inghilterra, ma adesso vivo qui.” Guardandosi alle spalle, si rese conto che "Madame" Caron, la bottegaia, la stava fissando con palese interesse. “Mi fa piacere incontrare un conterraneo” osservò un po' a disagio. 
 
“Sono appena arrivato a Clervaux” la informò l'altro ignorando la padrona del negozio che del resto non capiva una parola d'inglese. “Insegno inglese, come avrà capito” aggiunse poi con una nota di umorismo. 
Danielle annuì. “Me l'avevano detto.” 
“Mi chiamo Howard, David Howard.” 
“E io, Danielle. Danielle Fe...” Si corresse in fretta. “De Sagreaux.” “Posso darti del tu?” 
“Ma certo!” 
Lui appoggiò il sacchetto della spesa sul bancone di vendita. “Dove abiti? Mi farebbe piacere conoscerti meglio. Sai com'è, mi sento un po' solo. Non ho amici qui a Clervaux.” 
“Be', immagino” rispose lei esitante. “Abiti vicino? Coi tuoi genitori?” 
Danielle si umettò le labbra con la punta della lingua. “I miei sono morti. E io sono sposata, David. Vivo con mio marito.” 
Lui assunse un'espressione contrita “Santo cielo, mi dispiace” s'affrettò a dichiarare. “Non avrei dovuto importunarti.” 
“Ma non mi hai importunata” tentò di tranquillizzarlo lei. “Devi venire a cena da noi qualche volta” azzardò poi senza riflettere. “Mio marito sarà felice di conoscerti.” 
“Ti ringrazio, mi farebbe piacere. Incomincio a sentire il bisogno di un po' di compagnia.” Afferrò il sacchetto. “Devo andare, ora. Ho un mucchio di cose da fare. Sono arrivato da poco più di una settimana e non mi sono ancora sistemato a dovere. Inizio a lavorare domani.” 
“Buona fortuna, allora.” 
 
David le rivolse un sorriso accattivante.  
“Ne avrò bisogno. A presto.” “Sì.” Danielle evitò di sbilanciarsi. “Ciao.” 
Girandosi verso il bancone di vendita, colse lo sguardo incuriosito di "Madame" Caron. 
“Quel giovane, è un suo amico?” chiese la bottegaia con finta noncuranza. 
“No, "madame"“ rispose lei tornando al francese. “E' soltanto un conterraneo, tutto qui.”