Ninni Raimondi -  Maggio 2020 - -© Copyright all over the World                             
 
 
 
 
 
La camera di Danielle, piccola ma accogliente, si trovava in cima alla scala che conduceva ai piani superiori della casa. Un soffice tappeto di lana grezza ricopriva le assi disuguali del pavimento, e un'allegra trapunta patchwork ingentiliva il grande letto di ferro battuto. L'armadio e la toletta, per quanto vetusti, tradivano amorevoli cure, e la stanza odorava di lavanda e di cera vergine. 
Ancora turbata dal funerale del padre, avvenuto il giorno prima, Danielle guardava fuori dalla finestra con aria assente. Ma nemmeno la placida bellezza del paesaggio collinare, incorniciato sullo sfondo da imponenti picchi innevati, leniva l'angoscia che la stava consumando. L'inverno era ormai alle porte, ma il freddo che le avviluppava il cuore non aveva nulla a che vedere con il cambio di stagione. 
Non si era mai sentita così confusa e impaurita come in quei giorni. La sera prima, il diverbio con Antoine de Sagreaux l'aveva spossata oltre ogni dire. E adesso il pensiero di dover scendere dabbasso l'annichiliva. 
Il futuro si era trasformato in un incubo. Era terrorizzata all'idea di dover sposare un uomo che conosceva da poco più di una settimana. Antoine non le ispirava fiducia e, come se non bastasse, era tanto più vecchio di lei. Vi era un che di inquietante nei suoi grandi occhi color del mare, e non un'ombra di dolcezza attenuava la selvaggia bellezza del suo viso scavato. 
"Sposata"! pensò con un tremito. Sposata con Antoine de Sagreaux! Sarebbe diventata Danielle de Sagreaux. Danielle Senneville avrebbe cessato d'esistere. Incredibile! 
 
Prendendo il coraggio a due mani, lasciò la stanza e scese le scale con passo cadenzato. Avvertendo l'inebriante fragranza del caffè appena fatto, si sentì pervadere da un cauto ottimismo al pensiero che fosse ritornata Clarice. 
Ma quando aprì la porta della cucina, il sorriso le morì sulle labbra. Non l'anziana governante, ma l'arcigno socio del padre era chino sul fuoco. 
“Salve, Danielle” l'accolse questi con la consueta familiarità. “Stavo per portarti una tazza di caffè.” 
Lei chiuse l'uscio e avanzò titubante. “Non era necessario” esclamò imbarazzata. Scrollando le spalle, lui le indicò il tavolo. “Serviti” le ordinò sbrigativo. “Non c'è pane fresco, purtroppo.” 
Sedendosi compunta, Danielle si versò un po' di caffè. “Quando ritornerà Clarice?” Lui si pulì le mani nei calzoni. “Mai più.” 
“Come sarebbe a dire?” domandò lei contrariata. 
“Ora che ci sei tu, la sua presenza non è più indispensabile. Una padrona di casa basta e avanza.” 
Lei avvampò. “Ma chi si occuperà della casa e degli animali?” Un orribile sospetto le si insinuò nella mente. “Non io, spero!” 
“Perché no, scusa? Intendi forse restartene con le mani in mano tutto il giorno?” Trangugiando un sorso di caffè, lei cercò il modo di sottrarsi a quel gravoso incarico. “Ma io non sono una casalinga.” 
“E che cosa saresti, allora?” “Be', una bibliotecaria.” 
“Non ci sono biblioteche a Clervaux.” 
“Sono in grado di sbrigare qualsiasi lavoro d'ufficio.” 
“E dove?” la beffeggiò lui. “Se proprio insisti, posso affidarti la contabilità dell'azienda.” 
Danielle ebbe uno scatto d'ira. “Lei non capisce!” Continuava a dargli del lei nel tentativo, invero futile, di mantenere le distanze. 
“Al contrario, carissima. Sei tu che non capisci” obiettò Antoine attizzando il fuoco. “Hai molto da imparare, credimi. Certo, tuo padre ti ha mostrato i vigneti, presentandoti gli uomini che lavorano per noi. Ma, ora come ora, non sei in grado di valutare la situazione nella sua interezza. La nostra è una piccola azienda. Produciamo meno di duecento casse di vino all'anno. Il nostro vino, per quanto buono, non è ancora molto conosciuto. E' bevuto a livello locale, negli alberghi e nei ristoranti delle località turistiche, ma non credere che i nostri profitti siano elevati. Non reggiamo al confronto con gli "Chateaux" vinicoli del Bordolese e della Borgogna. Di conseguenza, conduciamo una vita molto semplice. Non assumiamo una governante quando la padrona di casa è capacissima di rilevarne le mansioni. Sono stato chiaro?” 
“Ma io non... non ho esperienza” balbettò Danielle sconvolta. 
“Vorrà dire che te la farai” commentò lui rifiutando di lasciarsi impietosire. “Prenderò una ragazza per i lavori pesanti, ma al resto dovrai pensare tu.” “"Monsieur", questo è troppo!” scattò lei inferocita. “Per chi mi ha preso? Per una serva?” 
“No” la contraddisse Antoine con un sorrisetto ironico. “Per una moglie. E adesso, se vuoi un consiglio, smettila di recriminare e ringrazia la tua buona stella.” 
“La mia buona stella!” ripeté Danielle con aria disgustata. “E per che cosa dovrei mai ringraziarla? Non è certo una fortuna sposare uno come lei, "monsieur"!” 
 
“Bada a come parli” replicò lui glaciale. “Una volta che saremo marito e moglie, avrò certi diritti su di te. Vuoi che incominci a esercitarli subito?” 
“Ma aveva detto che...” 
Lui non la lasciò proseguire. “Vi sono altri diritti oltre a quelli coniugali.” Inarcò un sopracciglio. “Ma adesso piantiamola di bisticciare. Questa conversazione non ci sta portando da nessuna parte. È meglio incominciare a studiare i dettagli della nostra vita insieme.” 
“Come se avessi voce in capitolo!” esclamò lei prossima alle lacrime. “In realtà non ho scelta. Sono confinata qui!” 
“In che senso, confinata?” mormorò lui con espressione minacciosa. 
Lei ebbe un gesto spazientito. “Che cos'altro potrei fare se non rassegnarmi? Non ci sono autobus o treni a Clervaux. E non posso certo raggiungere a piedi la città più vicina!” 
“Non sai guidare?” domandò lui sorpreso. “No? Ti insegnerò io, allora, magari in primavera. Abbiamo due macchine, la station wagon e un fuoristrada. Una volta che avrai preso la patente, potrai usarle a piacere. Anciens dista solo trenta chilometri. E' una cittadina di media grandezza, con tanti negozi.” Con un sorriso, aggiunse: “C'è persino una biblioteca”. 
Danielle preferì ignorare quell'ultima frecciatina. “Grazie.” “Di nulla” replicò Antoine. “Ma adesso mangia qualcosa.” Lei scosse il capo. “Non ho fame.” 
“Fa' un po' come ti pare” sbuffò lui senza insistere. “Ti consiglio di dedicare la mattinata all'esplorazione del tuo nuovo regno. Don Charles arriverà verso mezzogiorno, e si fermerà senz'altro a pranzo. Hai già deciso che cosa offrirgli?” “Non pretenderà che cucini io!” mormorò lei con espressione inorridita. 
“E chi, altrimenti?” le fece notare lui buttandosi sulle spalle un giaccone di pelle. “Debbo incontrarmi con Roll Condé a Clervaux. Sarò di ritorno per l'una. Troverai tutto ciò che ti occorre nella dispensa.” 
“Ma non ho mai cucinato un pranzo in vita mia!” confessò Danielle alzandosi in piedi di scatto. 
Aprendo la porta, lui si girò a guardarla. “C'è sempre una prima volta, carissima. "Adieu" e buona fortuna.” 
La porta si richiuse con un tonfo. Passandosi una mano sul viso, lei si lasciò cadere sulla seggiola. Non si era mai cimentata nei lavori di casa. Non aveva mai pulito un pavimento o rigovernato una stanza! E le sue arti culinarie bastavano tutt'al più a produrre un uovo fritto. 
Facendosi forza, si alzò in piedi e, lasciata la cucina, salì le scale. Avrebbe incominciato dalle stanze da letto. Giunta al primo piano, lasciò errare lo sguardo su una scoraggiante moltitudine di porte. Ma dopo aver scoperto due sgabuzzini e tre armadi a muro, si rese conto con sollievo che avrebbe dovuto ripulire solo quattro stanze. La camera del padre, con gli scuri accostati, sprigionava un'aria di tetra desolazione. Sentendosi pervadere dalla malinconia, Danielle tornò a chiuderne la porta. L'avrebbe riordinata in un altro momento. Adesso non se la sentiva proprio. Fatta eccezione per la propria stanza, ne restavano soltanto due. Trascurando la camera degli ospiti, velata da una patina di polvere, puntò decisa verso quella di Antoine. 
Nell'oltrepassarne la soglia, ebbe una lieve esitazione. Con un tremendo sforzo di volontà soffocò un brivido di disgusto. Dopotutto, una volta sposati, avrebbe dovuto abituarsi all'idea di rifargli il letto, lavargli la biancheria e stirargli le camicie. Ma mentre sprimacciava il cuscino e tendeva le lenzuola, avvertì una sgradevole sensazione di imbarazzo. Si sentiva un'intrusa. Con una scrollata di spalle, si guardò intorno alla ricerca del pigiama, ma non riuscì a trovarlo. Antoine doveva averlo riposto in un cassetto. Strano, però! 
Dopo aver aerato il locale, spolverò il comodino e una piccola libreria traboccante di libri di agraria e di economia. Vi erano anche alcuni romanzi che la stessa Danielle avrebbe letto con piacere. Ansiosa com'era di scoprire i gusti di Antoine, provò la tentazione di aprire l'armadio e i cassetti del comò. Ma, resistendo a quell'impulso meschino, tirò le tende e si affrettò a lasciare la stanza. 
Aveva perso sin troppo tempo. Dopo aver rigovernato la sua camera, ritornò svelta in cucina. Udendo un sommesso miagolio, aprì la porta che dava sul retro della casa, e si lasciò sfuggire un sorriso. Una magnifica gatta tigrata avanzò decisa verso il caminetto e si accoccolò ai piedi di una vetusta sedia a dondolo. Lieta di avere un po' di compagnia, Danielle le accarezzò il dorso con delicatezza. 
Ma, consultando l'orologio, fu colta da un violento sussulto. Si raddrizzò di colpo, sentendosi sommergere dal panico. Aveva perso la cognizione del tempo. Erano le undici passate! E lei doveva ancora rimediare il pranzo. 
Dopo aver sparecchiato la tavola, si accinse a lavare le tazze della colazione. Sistemata ogni cosa con cura, varcò la soglia della dispensa e si ritrovò a fissare un intero scaffale di conserve di pomodoro. Sacchi di farina e di zucchero erano accatastati in un angolo. Il tavolaccio ingombro di vassoi di frutta secca formava uno stridente effetto di contrasto con il modernissimo congelatore bianco, entro cui erano stipati sacchetti di ortaggi e tranci di carne. 
Afferrando tre bistecche, Danielle ritornò in cucina e le dispose su un piatto. Avrebbero impiegato almeno venti minuti a scongelare, calcolò con buona approssimazione. Dopo aver spazzato il pavimento e pelato un chilo di patate, pensò bene di concedersi una pausa. In fondo se l'era meritata! La cucina aveva riacquistato un aspetto ordinato, e i preparativi del pranzo erano ormai a buon punto. 
Sentendosi già più sollevata, decise di ispezionare le stanze del pianoterra. Il salottino, brulicante di mobili vecchiotti e di cianfrusaglie d'altri tempi, le parve a dir poco inospitale, al pari della tetra sala da pranzo, con tendaggi di velluto bordeaux. Lo studiolo, invece, ricolmo di carte e di libri contabili, le piacque a prima vista, forse perché aveva un'aria vissuta. Agendo d'impulso, si sedette dietro la scrivania e lasciò correre lo sguardo su una macchina per scrivere che aveva visto giorni migliori. L'odore del tabacco da pipa del padre aleggiava ancora nell'aria. Un'ombra di mestizia le offuscò lo sguardo. Alzandosi in piedi, ritornò in cucina con l'intenzione di cuocere le bistecche. 
 
Ma l'attendeva una brutta sorpresa. Il piatto su cui aveva messo a scongelare la carne era vuoto, e la gatta si stava leccando le zampine con aria soddisfatta. 
Danielle emise un gemito strozzato. “"Brutta gattaccia!”“strillò indignata. “E adesso, che cosa faccio?” 
Senza perdere un attimo di tempo, si precipitò in dispensa e tornò a saccheggiare il congelatore. Cedendo alla fretta, aprì il rubinetto dell'acqua calda e vi buttò sotto le bistecche. Quando Don Charles entrò zoppicando nell'ariosa cucina, la carne era già sul fuoco e le patate sfrigolavano invitanti. 
Il vecchio prete le sorrise con cordialità. “Che buon odorino, cara!” mormorò allegro. “Antoine mi ha invitato a pranzo. Spero di non disturbare!” 
“Oh, no!” esclamò lei con vivacità. Era stremata, ma sarebbe morta piuttosto di confessare la sua inettitudine. “Gradisce nel frattempo una tazza di caffè?” 
 
“No, grazie” rispose l'altro sedendosi con un certo sforzo. “Ho solo bisogno di riprendere fiato. La camminata mi ha davvero spossato.” 
“E' venuto a piedi?” mormorò lei stupefatta. “Dal villaggio?” 
“Be', certo. Un po' di esercizio stuzzica l'appetito, no? Vero è però che, dopo i pantagruelici pranzi di Clarice, non sempre ero in grado di riprendere il cammino!” Danielle si girò verso i fornelli. Quel commento era quanto mai infelice, ma Don Charles non poteva saperlo. Si consolò pensando che, dopotutto, le bistecche avevano un'aria appetitosa, e le patate al rosmarino si erano arrostite a dovere. Era un pranzo semplice, certo, ma non si poteva pretendere di più da una principiante. Antoine arrivò venti minuti dopo. Entrando in cucina, salutò il prete con calore e, dopo aver rivolto un cenno distratto a Danielle, si piegò ad accarezzare il gatto. “Ciao, Tresor” esclamò di buonumore. “Così sei ritornata, eh?” 
Seccata all'idea che riservasse così tante attenzioni alla stupida gatta che le aveva rovinato il pranzo, lei fece una smorfia mentre disponeva le patate in un grazioso piatto da portata. Dopo aver decorato le bistecche con una manciata di prezzemolo tritato, si avvicinò al tavolo con espressione titubante. Antoine stappò una bottiglia di vino e servì da bere al prete. 
“Davvero buono” osservò quest'ultimo con aria da intenditore. “Che cos'è, Antoine? Un Beaujolais del '66, forse?” 
Con un sorriso smaliziato, lui scosse il capo. “È un Richebourg del '61” rispose divertito sedendosi a tavola. “Il padre di Danielle ne conservava alcune bottiglie per le occasioni speciali.” 
Don Charles parve sorpreso. “Che cosa stiamo festeggiando?” s'informò incuriosito. Antoine si voltò a guardare Danielle che abbassò il capo con aria imbarazzata. “Io e Danielle abbiamo deciso di sposarci al più presto. Vero, cara?” 
Lei ebbe un attimo di esitazione. “Sì” rispose con voce fioca. “E' così.” 
Il vecchio prete rise soddisfatto. “E' una bellissima notizia!” dichiarò alzandosi in piedi. “Urge un brindisi. Vi auguro tanta felicità, figlioli. E bevo al vostro futuro insieme.” 
Evitando di guardare Antoine, Danielle toccò appena il vino. Al termine del brindisi, servì la carne e le patate. Senza dire una parola, si sedette alla destra del prete e afferrò il coltello. Ma quando tagliò la bistecca, s'avvide con orrore che, malgrado la doratura superficiale, all'interno era cruda e per metà congelata. 
Alzò lo sguardo col cuore in gola. Antoine e Don Charles stavano mangiando in silenzio, come se nulla fosse. Si sentì travolgere da un'ondata di nausea. Santo cielo, che disastro! 
Scostando il piatto con un gesto brusco, aspettò che i due uomini se ne uscissero con un commento qualsiasi. Ma entrambi rimasero in silenzio. Danielle fu travolta da un'ira sorda. Non voleva la loro pietà! Il pensiero che fingessero di apprezzare la carne per non ferire i suoi sentimenti la umiliava in sommo grado. 
Inalando a fondo, gettò il tovagliolo accanto al piatto. “Non mangiatela! È orribile! È cruda! Il gatto ha mangiato la carne che avevo preparato, e non ho avuto il tempo di scongelarne dell'altra.” 
Il prete la fissò stupito. “Io la trovo buona.” 
Antoine aggrottò la fronte. “Non essere sciocca, Danielle. La bistecca mi piace poco cotta.” “Ma quella è cruda!” dichiarò lei con veemenza. 
“Ti dico che va bene!” la zittì lui con un'occhiataccia. 
“Be', io la trovo schifosa!” inveì lei alzandosi in piedi di scatto. “Dove pensi di andare?” domandò Antoine con espressione tesa. 
 
Senza prendersi la briga di rispondere, Danielle corse a rifugiarsi in camera sua. Buttandosi sul letto, nascose il viso nel cuscino e scoppiò in un pianto dirotto. Il suo primo pranzo si era rivelato un disastro. Non sarebbe mai riuscita a uguagliare il talento culinario di Clarice! Mai! 
In quel mentre si spalancò la porta, e Antoine de Sagreaux, scuro in volto, fece irruzione nella stanza. “Sei forse impazzita?” le gridò furente. “Come hai potuto piantare in asso un ospite nel bel mezzo del pranzo?” 
“Non è un ospite mio. L'ha invitato lei, "monsieur", ricorda?” lo rimbeccò lei decisa a tenergli testa. 
“E' "nostro" ospite” la corresse lui in tono pungente. “Smettila di fare la bambina. D'accordo, la carne è un po' cruda, ma devi per questo farne una tragedia? Col tempo imparerai a cucinare anche tu.” 
“Bella consolazione!” esclamò lei sarcastica. 
Antoine assunse un'espressione corrucciata. “Per questa volta ti perdono. Ma non azzardarti a farlo un'altra volta, intesi?” 
Danielle fece una smorfia. “Non ricordo di averla invitata nella mia stanza, "monsieur". Non le ha mai detto nessuno che è buona norma bussare prima di entrare nella camera di una signora?” 
“Di signore non ne vedo nemmeno una” commentò lui deciso. “Fatta eccezione per una bambina piagnucolante che avrebbe bisogno di una bella sculacciata! E adesso hai cinque minuti di tempo per lavarti il viso e ritornare dabbasso in tempo per il dolce. Ci siamo capiti?” 
Lei abbassò il capo. “Non ho più voglia di mangiare.” 
“Che sciocchezza è mai questa?” tuonò Antoine. “Magra come sei, non puoi permetterti di saltare il pranzo! Posso capire che non t'invogli la bistecca, ma un po' di minestra dovrai pur mangiarla!” 
Lei sbuffò. “Non l'ho preparata, la minestra.” 
“Basta aprire una scatoletta, aggiungere un po' d'acqua e il gioco è fatto” le ricordò lui addolcendosi di colpo. “Sempre che tu sappia usare l'apriscatole, s'intende” aggiunse in tono leggero. “Va meglio, adesso?” 
Lei si sorprese ad annuire. Strano, il bonario rabbuffo di Antoine aveva avuto il potere di risollevarle il morale. 
 
Strano, davvero!