La verità      
 
    
 
… e Lui disse: Ti chiamerai Lucifero 
e sarai il più luminoso. Da quel momento  
mi accorsi che ero luminoso e soprattutto, che  
ero solo in quanto unico! 
Una solitudine per sempre ... ” 
 
La pioggia cadeva leggera, come una nube.  
Il sole si perdeva in una luce eterea. Una luce, quasi fremente e riflessa mille volte dalle minuscole gocce, così lontana la mia fonte, da quel luogo, tanto da sembrarmi solo un sogno senza calore. Ero, mentre avanzavo in quella pioggia di luce, irresistibilmente attratto dal canto dell'acqua là dove quella si concentrava e scendeva in piccole fontanelle.  
Nel mondo di sopra pioveva e spirava il primo autunno, pensai. Quella luce era una tale magia, ai miei occhi,  da sembrare un filato inesistente.  
La gelida bellezza solleticava i miei nervi come le dita di un musicista può carezzare uno strumento. La mia pelle bruciava, ma senza vero dolore. I miei occhi, feriti dalla luce, mi lasciavano intravedere quel mondo, soltanto, attraverso le lacrime di sangue che scendevano copiose proprio per proteggerli. 
Alle mie spalle, Ninni l’Altro, era la mia ombra.  
Sapevo di non poterlo lasciare indietro, ma non avevo ancora deciso se accettare la sua presenza o ribellarmi.  
Così indugiavo nel passato e rivivevo quelle scene vivide come se potessi toccarle.  
Nel Mondo Accanto erano trascorsi gli anni, ma i miei tempi li avevo scanditi solo nella mente. Era come se un pittore improvvisamente avesse scoperto l'esistenza di altri colori, oltre le note del grigio e del rosso sangue della mia rabbia. Queste vibrazioni avevano quietato il mio animo, lasciando che si rilassasse per una nuova primavera. Avevano cancellato lentamente il rancore dal mio cuore. La cosa più incredibile era quanto poco  c'era voluto per ottenere un simile miracolo.  
La mia voce e quelle sensazioni si erano sposate in un casto connubio.  
Non sapevo dire da quanto conoscessi Ninni l’Altro; non sapevo, nemmeno, da quanto tempo io stesso vivessi nel Mondo Sotto il Mondo o chi, fra i due, fosse giunto li per primo. La natura onirica della mia vita passata mi turbava, almeno, quanto quella che avevo dimenticato. Di certo, sapevo che fra noi due ciò che ci teneva in vita, ovvero la sostanza che animava le vene dello spirito più ancora di quelle del sangue, era la stessa: La Gabbia dell'Angelo Caduto. 
Sollevai il volto verso il cielo nascosto dalle rocce e dalle nuvole.  
Stavo ripercorrendo una strada conosciuta, sul cui ciglio avevo indugiato molte e molte volte dopo la scomparsa di Dio tanto che, quelle parole, mi nascevano come naturali e abituali.  
Aguzzino era un termine lontano dal mio attuale modo di vedere il Padre ma, allo stesso tempo, così veritiero nella persona che ricordavo di essere stato prima dell’uragano di fiamme. 
Ninni l’Altro, seduto su una pietra e incurante del bagnato, osservava le espressioni sul mio volto cambiare come la luce fra le nuvole, chiedendosi quanto strano fossi come creatura. 
Le immagini fluivano rendendomi terribilmente solo. 
Cercai il Padre dentro di me per avere una risposta, ma echeggiò solo un desolante silenzio.  
Mi voltai verso  Ninni l’Altro, come se lui potesse mai spiegarmi. 
"A cosa pensi?" mi chiese. 
Lo fissai lungamente. 
Sollevò il braccio coperto di tatuaggi turchesi e cremisi e indicò i cristalli che fiorivano sulle pareti umide della grotta e catturavano, in una danza macabra, i riflessi delle torce e quelli dei bracieri bronzei. 
"La grotta è già satura dei tuoi pensieri, Ninni ", disse,"i miei, in questo momento, creerebbero solo confusione" 
Si appoggiò sulle ginocchia ripiegate, stringendole con le braccia e senza smettere di guardarmi 
"Forse, dare ad essi voce, potrebbe servire?", dissi. 
Ninni l’Altro rimase sorpreso a quella richiesta.  
"Non che io sappia esattamente cosa raccontarti, o che sia in grado di raccontartelo nel modo migliore."  
Nella mia mente balenarono mille libri in cui i protagonisti si convincevano che, nel raccontare un evento, vi avrebbero dato un significato, apprestandosi così, molto seriamente, a confidarlo alla carta o ad un amico sotto il lume di una candela. Ma certo, il Ninni l’Altro, non era un compunto signore di fine ottocento né, quella sala, era un salotto confortevole in cui far evaporare tutti i fantasmi e le stramberie davanti ad un buon bicchiere di Bourbon.  
Una piacevole tentazione, non potevo negarlo, ma sarebbe stato come se la storia fosse raccontata dal mostro di Frankestein, piuttosto che dal suo creatore; come se Mr. Hide si sedesse calmo e lucido a parlare con amici. Mi passai una mano sul volto, sfiorandolo. Poi, raccolsi un po' di terra fra le mani e la feci scorrere via. 
Forse quella storia doveva raccontarla, proprio, il Padre. 
"Non capisco e mi fa innervosire tutto quello che non capisco", disse Ninni l’Altro prendendosi gioco di se stesso. 
"Se siamo qui è perché, proprio da qui, è fuggito l'Angelo.”, risposi, “ Voglio riaffacciarmi al passato, aggrapparmi a quel ricordo e restare in questo luogo, dove tutto cominciò a cambiare." 
Ninni l’Altro mi ascoltò serio, seduto sui talloni, con le mani posate sulle cosce nude. 
"Non capire, è il primo passo verso la comprensione" disse.  
La sua voce aveva una cadenza tranquilla, quasi come un vento primaverile. 
"Quanto al passato, questo passato, ha valore per te?", continuò. 
"Molto", ma non aggiunsi altro.  
Chinai invece il capo per, subito, rialzarlo irrequieto.  
I capelli mi ricadevano in parte sul volto, ma non me ne curavo, mentre nascondevano uno sguardo caldo come il fuoco di una fucina. Mi alzai e ripresi a camminare per la grotta e iniziai a gesticolare. 
"Volevo andarmene. Odiavo il Padre.  
L'ho maledetto più e più volte!" 
Ninni l'Altro, si fermò e si voltò con le braccia allargate e le mani aperte verso di me, guardandomi, attonito,  dopo quelle parole sacrileghe. 
Non mi scompose, ma seguitai ad osservarlo con occhi simili a schegge d'ardesia; con quello sguardo da cui sembrava, sempre, trasparire il senso dell'onore, nei millenni di storia, della mia famiglia. 
"Il figlio, che non impara ad odiare il Padre, non può imparare ad amarlo veramente" disse. 
Sollevai lo sguardo verso le pareti splendenti dal perpetuo scorrere dell'acqua e tremavo e piangevo. 
"L'amore di un bambino può essere totale e puro, ma nasce dall'ignoranza.  
Si ama chi ci ha generato senza chiedersene ragione; soltanto quando abbiamo imparato a conoscere il Padre e la Madre, i loro Abissi e le loro vette, solo allora possiamo comprendere cosa voglia dire amarli".  
Adesso, Ninni l’Altro, mi fissava con amore.  
Poi si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: 
"L’amore non è facile, come non è facile l'odio ed entrambi non sono per tutti". 
“Ninni”, continuò prendendomi per mano, “cosa posso fare per te?”.  
Lo osservai e come un vento vulcanico, gli urlai tutto il mio furore: 
"E' amore, forse, distruggere una persona? Farla soffrire? Spaventarla a morte per nutrirsi delle sue emozioni come fossero un nettare?". E ogni parola era una nuova pietra che lanciavo contro me stesso.  
"E' amore, caro Ninni l'Altro, non accettare qualcuno per com'è? ", e guardando verso il cielo continuai, " Volerlo trasformare nel cuore e nel fisico, fino al punto che, nemmeno Lui saprebbe più riconoscerlo, tanto da diventare, soltanto, un nuovo elemento di una propria visione? Spiegamelo!” e mi piegai in terra, il viso contro la polvere, piangendo e tremando. 
“Spiegamelo!”, continuai singhiozzando,” Perché tutto questo? Perché questo dolore e queste lacrime … da secoli…”. 
Ninni l’Altro, con un movimento silenzioso, si chinò e immergendo le dita tra i miei capelli, mi carezzo il volto lordo di sangue e sudore. 
Sentii le sue braccia calde attorno il corpo. 
Sentii la lama, dolcemente assetata, penetrarmi a fondo nella gola. 
Sentii il sapore dolciastro del mio sangue che, adesso, mi ricopriva e mi scaldava. 
E vidi, forse per la prima volta, aprirsi lo specchio del Mondo Accanto senza alcun riflesso e senza incrinature. 
Ero, finalmente, tornato al Nulla. 
Così bevvi dal mio sangue e mi addormentai per sempre.  
 
 
 
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