tudiare i miti è viaggiare nell’improbabile.  
Noi non sappiamo quale creatore di miti medievali, quale poeta, nel senso del greco poietès come dell’anglosassone scoop, abbia creato il personaggio di Merlino. Il testo della Profezia, la nascita di Merlino come personaggio letterario, risalirebbe all’XI secolo. Questa stessa datazione suggerisce un’impostazione problematica e doverosa: 
L’Opera storica di Geoffrey di Monmouth non può definirsi neutra; essa è ideologicamente orientata; chiude virtualmente una parentesi: si chiude ai suoi tempi l’età della dominazione sassone sull’Inghilterra, che dopo la conquista normanna vive un nuovo ciclo. 
L’ideologia dell’XI secolo cerca, quindi, una continuità fra l’Inghilterra che ne V secolo fu abbandonata al suo destino dal presidio romano e l’Inghilterra di Guglielmo il conquistatore e i suoi discendenti inseriscono di nuovo nel flusso delle vicende continentali. Geoffrey, dunque, inventa il suo Merlino simbolo dell’unità e della romanità della Britannia.  
E tuttavia troppo tempo e troppe ombre separano questo scrittore dell’XI secolo dall’età della sua pretesa invenzione perché non si possa ribadire che Merlino non ha una vera paternità storica. 
 
Lui è un Mito, ma è anche l’improbabilità di un Mito. 
E’ il Mito britannico del saggio; l’esistenza del saggio è come un sogno: Merlino è l’Alter Ego saggio di Artù re e guerriero delle saghe della Britannia. Il suo archetipo è Nestore che accompagna Agamennone, è ovunque un saggio stia al fianco di un potente o di un violento; è, biblicamente e cristianamente, Samuele che accompagna Saul. 
I contrassegni di questi personaggi sono la vecchiaia ed il mistero. La saga Arturiana come problema di storia e di una lettura medievale ci consegna, dunque, quella figura incerta, quella di un maestro di verità, forse figlio di un demone. 
 
Contraddizioni plausibili in una cultura di trapasso che, dall’organizzazione tardo-romana, scivolò nell’anarchia germanica. Merlino è contraddittorio come il resto dell’epopea nazionale di un paese come l’Inghilterra, che è per eccellenza un paese di sintesi delle culture. Il testo della Profezia rinvia all’età storica conosciuta come quella di Eptarchia britannica; il personaggio storico è il re Vortingern, nominato come colui che sollecita la Profezia, un Re che visse nel V secolo. 
La profezia lo chiama  Re dei Brètoni cioè di un popolo da intendere come il popolo della Britannia unita. Ma questo concetto di unità è molto discutibile; è il frutto appunto dell’operazione ideologica di ritorno alla civiltà romana antica, quasi una saldatura tra il V e il XI secolo.  
Secondo la profezia Vortingern è colui che chiama in Britannia gli invasori Sassoni. Il suo ruolo negativo è con ogni verosimiglianza esagerato dal nazionalismo del testo. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
i vuole un salto cronologico. 
 
In Francia il Vescovo di Mirepoix, tra il XV ed il XVI secolo aveva un libro. 
Era un uomo indubbiamente lontano anni-luce dal mondo dei contemporanei di quel Merlino, forse figlio di un demone e maestro di verità, vissuto nell'alluvione delle invasioni barbariche. Non diciamo "aveva un libro" per sminuire la sua cultura, ma solo perchè non siamo informati a sufficienza sul suo possesso di un'intera biblioteca, che pure possiamo supporre, già solo riflettendo all'importanza della sua diocesi collegata all'altra di Pamiers, in quella Francia meridionale ben dotata in antico da Roma e perciò ottima calamita di invasioni. 
 
Il libro, che oggi è un codice Vaticano reginense, conteneva le profezie del mago sull'Inghilterra, il vescovo, Philippe de Levis, le contrassegnò con il suo stemma perchè veniva da una grande famiglia, della quale il cognome lascia sospettare un'origine ebraica, da cui sarebbero usciti Duchi e Marescialli, con ampia soddisfazione dell'orgoglio francese. 
Ma nell'immediato, nella sua diocesi, per tradizione occupata dai suoi, gli sarebbe succeduto uno scozzese, il prete David Beaton. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
a qui l'obbligo a ragionare in una chiave culturale sopranazionale. 
 
Le linee concrete dei documenti storici, quale è il libro della Profezia, vanno di pari passo con quelle ideali che sussistono nelle migrazioni di dotti per l'Europa medievale, attinenti anch'esse alla sfera del magico e del sacrale.  
Molti uomini del Nord vennero, nel Medioevo, nell'Europa Meridionale: dall'Irlanda, i tanti monaci che seguendo San Colombano o Gallo giunsero a fondare centri religiosi in Italia o in Svizzera. 
 
Con questi fenomeni collettivi, i casi particolari come quello di Michele Scoto, mago alchimista profeta ( saggio accanto al potente), alla corte di Federico II di Svevia nel XIII secolo, dopo peregrinazioni in Spagna, in Francia, in Inghilterra.  
La molla di questi movimenti era lo spirito missionario, in un'Europa unita nella rovina della grande istituzione che l'aveva organizzata e governata. Sembra simbolica l'unione, in una sola rilegatura, del testo fantastico costituito dalle profezie di Merlino o di quello razionale costituito, invece, dall'opera geografica di Solino, che apre il libro. 
 
La geografia è una scienza, indiscutibilmente in ogni enciclopedia del sapere, sia antica, sia medievale. 
Anche su questa sezione de Levis appose il proprio stemma, ma non si riesce, davvero, a vedere altro collegamento concettuale fra la prima e la seconda parte del codice attuale. 
E' forte la tentazione di rifarsi alla storia più recente, pensando alla regina svedese Cristina, a sua volta in possesso del codice; a sua volta digiuna di nozioni re manie dell'occulto, pratica con i suoi cortigiani, dell'alchimia, non è da escludere che l'unità del codice sia solo seicentesca. 
 
Forse Philippe de Levis ... aveva due libri. 
Quel cristiano che nell'autunno avanzato del medioevo raccoglieva libri classici, non faceva necessariamente un omaggio al paganesimo.  
Tuttavia, in prospettiva storica, si deve dire che esiste un problema in quanto la cultura delle profezie richiama un mondo rituale pagano; voler conoscere il futuro è un peccato che dante Alighieri giudicava degno dell'Inferno e cristianamente la necessità delle profezie viene a cessare con l'Avvento del Cristo, nel quale, anno-zero della storia umano-divina, c'è l'Alfa e l'Omega di quello che doveva essere detto e conosciuto. 
Prima ci furono i profeti e le Sibille, dopo rimase ciò che essi avevano detto, ma solo come la serie dei detriti sparsi di un filone culturale meno pregevole rispetto a quello ufficiale.  
Il sistema della conoscenza, nel Medioevo, vuole essere razionale. 
L'alchimia ricerchi l'oro e le streghe la conoscenza demoniaca, ma con il rogo sullo sfondo: chi cerca Dio, rispettabilmente, lo cerca attraverso la filosofia di Aristotele aggiornata. 
Questa impostazione del sapere ha declassato il Profeta a mago e la Sibilla a strega.  
Quindi il libro che è giunto a Philippe de Levis nella sua Francia del XV secolo, ha dietro le spalle una serie di operazioni purificatrici ed appropriatrici nei confronti di un personaggio che nasce nell'Humus pagano e si sviluppa redimendosi alla luce della sacerdotalità cristiana. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
erlino viene visto come Sommo Sacerdote, ma non è un peccato possedere quel libro. 
 
Si possono  immaginare altre spinte emotive, nella  Francia quattrocentesca,  legate ad una simile letteratura: si è chiusa, nel 1453, la guerra dei Cento Anni. 
La grandezza accompagnata da sventure, profetata in tempi lontani all'Inghilterra, ha esaurito il suo sforzo imperialistico nei confronti del vicino continente ed ora la Francia, ritrovata una dinastia nazionale, vive un momento fulgido e positivo:  
si distruggerà l'indipendenza della Borgogna; si conquisterà il Regno del Sole; il Regno di Napoli; l'Italia e forse un giorno l'Impero. 
 
Tex Franciae in regno suo est imperator e da ciò è pensabile e deducibile la candidatura ufficiale di Francesco I.  
I vescovi francesi, benedicendo la nazione e la dinastia, possono ben leggere i presagi già estinti nel paganesimo e negli umori ostili del nemico rigettato oltre la Manica. Sono, ormai, innocui e recuperabili come strumenti sterilizzati. le profezie di Merlino riguardano una storia sopranazionale, ormai, non solo la storia di Francia e non solo la storia d'Inghilterra. 
 
Esse, del resto, sono il prodotto di una memoria collettiva, proprio perchè non si riesce ad identificarne l'Autore. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
a poesia sgorga come l'acqua dalla fonte, impossibile 
fermarla,difficile studiarla senza sciupare l'armonioso flusso di gioia che porta con se. Ogni popolo ha intessuto trame poetiche insieme con la storia e lo storico, che deve districare la matassa, non arriva a separare "il grano dal miglio" e se lo fa, il sogno poetico è svanito come un'illusione.  
Chiunque - antropologo, storico, filologo - sa quanto sia difficile trattare l'argomento delle leggende popolari e cercare di inserirle in un contesto scientifico, rischiando di soffocare il substrato umano che sempre ne accompagna lo svolgimento, il tortuoso andamento fatto di eterni sentimenti umani, di sottili legami col reale e con le tradizioni, la magia evocatrice di luoghi e ombre, che sono alla base della storia, soprattutto di uomini, sempre pronti a credere, a sognare, a illudersi di avere esorcizzato il presente e le difficoltà della vita. 
 
Alla base della letteratura "cortese" stanno le leggende di Artù e dei suoi cavalieri; nell'ombra, alle spalle di Artù, domina la figura del Mago, del consigliere, dell'Uomo Saggio, dolente e preveggente, che veglia sulla vita degli Uomini; un Uomo che è cosciente della sua umanità, ma che sa di essere immortale, come un simbolo, al di là della morte, ai confini dell'inconoscibile; dedito alla magia, ma vicino alla sorgente dei sogni, inafferrabili essenze evocatrici del destino.  
Questa figura è Merlino, il mago britanno di cui abbiamo testimonianze nel ciclo brettone e anche prima. 
 
Le radici della figura di Merlino affondano nel mondo dei Celti, l'antico popolo indogermanico dei "Cavalieri alla ricerca del Sogno", che si precipitavano in mare per raggiungere la Fata che canta, Il Paradiso Perduto.  
I Celti avevano un'importantissima casta sacerdotale, i Druidi, di cui parlano Cesare, ne suo De bello Gallico (Libro VI) a più riprese, Tacito, Diogene, Laertio, Valerio Massimo e altri storici, paragonandoli ai Pitagorici e mettendone in risalto i poteri politici, sacerdotali, medici e "magici". 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Druidi, casta superiore ai Re per potenza e sapienza, erano i 
consiglieri dei sovrani e rappresentavano l'unità della tribù. Ogni Capo e ogni Clan avevano il loro Druido che si occupava, anche, dei rapporti con il resto del popolo e che, ogni anno, si incontrava con gli altri sacerdoti in un luogo sacro ove veniva eletto il capo dei Druidi, il Sommo Sacerdote che rappresentava il popolo dei Celti nelle sue tradizioni, nei culti e nella coscienza nazionale.  
Fra i Druidi esistevano io Gutuater che erano addetti ai riti e i "Vati", i Profeti, i Veggenti, i Faith irlandesi, che esploravano la volontà degli Dèi e indagavano la Natura e i fenomeni celesti, in cui i Druidi erano straordinariamente edotti. 
 
Il Faith era anche un medico, un guaritore e un mago, oltre che Gwawd (poeta in Cimrico), considerando i celti la poesia come figlia dell'ispirazione divina, sorella delle visioni e dei sogni. 
Merlino appartiene ad un mondo pagano ove il rapporto con la natura è diretto, sentito e ove essa fa parte  della vita stessa perchè è albero, sorgente, lago, immenso cielo che incombe, pietre e nebbie, freddo e grandi pianure spazzate dal vento, mare spumoso grigio e terribile ove il sole è un sogno effimero e lontano, una divinità terribile e ciclica, facente parte, con la terra e le sue creature (alberi e acque, animali e incubi) del pantheon celtico. 
In Irlanda il personaggio di Merlino sta su un piano regale e nel mondo dei riti sacrificali connessi alla prosperità della terra. Il sacrificio del primogenito, che troviamo anche presso i Fenici, appartiene alla preistoria dei popoli agricoltori, come il sacrificio del Re a favore della sua terra e a Merlino che, secondo la leggenda, è un figlio primogenito, senza paternità, si chiede di morire per il Re, per la prosperità della terra, sulle fondamenta di una torre che deve difendere il regno e che cade misteriosamente, perchè ha bisogno del suo sangue come cemento. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
el testo irlandese Aventures d'Art fils de Conn troviamo questo 
bimbo da sacrificare, come nella Historia Britonum di Nennio, scritta entro la fine del VI secolo e il VII secolo. Merlino non è menzionato, ma esiste un bambino che si chiama "Emheris Gwledig", latinizzato: Ambrosius. "Ambrosius della razza dei Consoli romani", così appare nel testo di Nennio. 
Il nome Cimrico Gwledig ci riporta al "Gwawd", poeta e sacerdote celta, almeno nella sua radice indogermanica. 
Non è certo il Merlino che conosciamo, ma il personaggio che comincia a prendere forma. 
 
Nennio, come tutti gli altri eruditi, fa parte delle fonti pseudo-storiche della storia irlandese, come le cronache in latino, di Gildas, che descrisse De excidio et conquestu Britanniae, prima testimonianza di un britanno sulla sua terra; oppure Beda, il Venerabile, che descrisse nella Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum le gesta della sua nazione; la sua opera ha un certo valore storico perchè si fonda su documenti locali. 
Dopo Nennio la storia si snoda passando per gli Annales Cambriae e altro, fino al primo secolo dell'anno Mille in cui compare l'opera contraddittoria e inquietante di geoffrey di Monmouth che riprenderà il tenue filo rosso della leggenda di Merlino, le testimonianze degli "Storici più antichi", i racconti orali della sua terra, mischiandoli ad una fantasia floridissima, del tutto degna del Medioevo di cui egli fa parte.  
Lo studioso francese Edmond Faral nella sua opera La Legènde Arthurienne, ètudes et documents, si occupa a fondo di Geoffrey di Monmouth e delle sue opere, facendone un'analisi critica, storica e paleografica, basata sui vari manoscritti conservati nelle biblioteche inglesi e francesi e sui testi degli altri eruditi posteriori a Geoffrey che ripresero gli stessi argomenti servendosi delle sue opere. 
 
Non si può prescindere dagli scritti di Faral per intraprendere uno studio serio sulle Leggende di Merlino e di Artù, anche se la critica moderna, oggi, si avvale di strumenti di analisi più precisi (archeologia, storia materiale e documentale, etc....). 
Faral, come tanti altri studiosi, cerca l'identità di Merlino nel nome che Geoffrey gli dà nella sua opera più importante, l'Historia Regum Britanniae, dove si chiama il Mago, che profetizza la fine dei Sassoni e le vittorie dei Britanni, Ambrosius Merlinus. Ambrosius potrebbe essere la trascrizione latina di quell' Emrys Guletic di cui si è parlato; e Merlinus? 
Secondo lo studioso francese i poeti gallesi fornivano, del nome Merlino, la forma Myriddin. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
yriddin potrebbe essere una trasformazione del toponimo 
Kaermyriddin, poiché Geoffrey spesso usava prendere i nomi dei suoi personaggi dai luoghi, oppure preesistere. 
L'onomastica italiana del 1128, per esempio, conta un Merlino, come attestano le ricerche preparatorie di un'edizione di Paolino Pieri - Storia di Merlino - in cui M.Ireneo Sanesi cita il nome di un "Merlinus" in un lascito del comune di Pistoia. 
 
In Francia, il nome Merlino era conosciuto e provvisto di identità propria come attesta il catalogo dei libri della Biblioteca Abbaziale di Bec, del bibliotecario Robert di Torigny, in cui si parla dell'opera di Geoffrey e del suo Merlino Ambrogio, ben diverso da un Silvestro, uomo dei boschi e mago silvano, che era nelle tradizioni culturali e poetiche francesi. 
 
Ma chi era Geoffrey di Monmouth? 
 
Il chierico Geoffrey di Monmouth era di origine gallese e nel 1132 scrisse, in latino. La Vita Merlini una storia complessa, favola e leggenda, per i Duchi di Normandia e per i Plantageneti suoi signori, desiderosi di storie curiose come tutti i personaggi del Medioevo e pronti a credere ai racconti fiabeschi della loro terra.  
Nella Vita Merlini si riprende la figura del Bardo celtico Myriddin (la cui tradizione potrebbe essere anteriore a Geoffrey di Monmouth), un profeta, un solitario che abita i boschi, un capo, comunque sia, che abbandona il regno per la vita da eremita, disgustato dalle continue guerre fratricide; un personaggio arcaico che riunisce varie tradizioni sia irlandesi, sia gallesi, sia scozzesi, sia britanne. 
 
Completamente diversa è la figura di Merlino nella Historia Regum Britanniae ed è quì che troviamo la profezia Anglicana del manoscritto. Questa pseudo storia, colorata di leggende e di riferimenti dotti (vi si parla di Bruto, discendente di Enea, progenitore dei Re d'Inghilterra) è un coacervo di storia, legate alla tradizione orale e popolare delle isole britanniche e servì da manifesto dinastico per i Plantageneti, in contrapposizione al ciclo Carolingio dei sovrani d'oltre Manica. 
Geoffrey fu uomo di corte e politico, nonché poeta e dotto scrittore, al servizio del suo re e dei personaggi influenti di corte. 
L'Historia fu scritta con progetti ambiziosi e va dalle origini "Triane" al periodo Arturiano. l'opera di Geoffrey è la prima "costruzione" letteraria a presentare in maniera coerente la leggenda di Artù e ha determinato in modo definitivo la creazione, importantissima per la cultura europea, del ciclo brettone.  
Di quest'opera fu importante per la diffusione sul continente l'adattamento che ne fece il normanno Robert Wace sotto il titolo Roman de Brut, che diede avvio ai romanzi della Tavola Rotonda. L'erudito gallese non dice di avere inventato la sua Historia, ma di aver trovato un manoscritto gaelico di un certo Walter, arcidiacono di Oxford e di averlo tradotto in latino. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
aral afferma che prima del 1135 nessun erudito ( né Giraldo di Cambria, né Guglielmo di Newburg) ha scritto qualche cosa su questo soggetto che non sia stato copiato da "Geoffrey", come d'altronde Giovanni di Cornovaglia o Goffredo da Viterbo attestano. Niente, salvo l'Historia Britonum anonima. in quest'opera troviamo un Ambrogio, dotato di poteri magici e interprete di presagi e di fenomeni naturali.  
L'Historia di Geoffrey si apre con la profezia di Ambrogio merlino e di questa Faral dice che fu una pura invenzione dell'Autore anche se la tradizione orale e l'ambiente culturale devono averlo profondamente influenzato, nonché la sua cultura biblica e "classica" e le manipolazioni e le storie che circolavano in ambienti clericali dell'epoca. 
 
Merlino Ambrogio (forse Emyrys Myriddin) è un bimbo dotato di poteri sovrannaturali (di cui, poi, si dirà che è figlio di un Demone) che deve essere sacrificato e che rivela a Vortingern, Re dei Britanni alleato dei Sassoni, invasori ed usurpatori del regno, la sua prossima sconfitta e quella dei Sassoni e le durissime guerre che sconvolgeranno la Britannia durante i secoli a venire, con eccidi e sconfitte da entrambe le parti e lutto e pianto per la Britannia, alla fine vincitrice.  
Nella Historia ci troviamo di fronte ad un Merlino Ambrogio che assomiglia a quello della tavola rotonda ma che è un personaggio di sintesi culturale e nello stesso tempo, particolare. 
 
La profezia di Merlino potrebbe essere il canto dell'ultimo Druido, voce di una coscienza nazionale che emerge storicamente, baluardo dello spirito celta; poesia e vaticinio di un popolo che vuole darsi una connotazione storica e giuridica, di fronte alle faide e alle faide e lotte tribali. Il personaggio di Merlino è contrapposto a quello arcaico di Vortingern, che rappresenta la violenza del potere fine a se stesso; di Vortingern re maledetto che ha macchiato di sangue il regno usurpandolo al re legittimo e ai suoi figli Ambrogio e Uther Pendragon ( futuro padre di Artù). 
Il profeta simbolizza i regni nelle figure dei draghi (animali sacri per eccellenza in ogni religione indogermanica), rosso la Britannia e bianco i sassoni. in questa profezia lo spunto è peculiare alla storia di Vortingern, ma il significato profondo è la salvaguardia del paese dei Britanni da ogni invasione o anche intrusione, sia politica, sia religiosa. 
Qui Merlino Ambrogio è la Britannia stessa con la sua cultura tipicamente insulare: gelosa e aliena. Non a caso questa profezia pare sia stata resuscitata da Winston Churchill durante la seconda guerra mondiale per infondere negli inglesi la speranza di vittoria sul "verme di Germania". 
 
Il testo della Profezia è oscuro, pieno di riferimenti leggendari e di figure animate e non, paurose e cupe; un bestiario degno delle cattedrali gotiche; oscuri simboli di sventura e di morte; delicate immagini di "giardini", luoghi di delizie, invasi e devastanti guerrieri; rappresentazioni araldiche antiche e dubbie; polvere di secoli su armi arcaiche; rievocazioni di donne fatate, sacre come le Modrom celtiche e altrettanto terribile; metamorfosi cangianti dall'umano al bestiale e viceversa; immagini di Dèi antichi e di capi leggendari; città medievali e reminiscenze di "Polis". Dietro le parole ciascuno legge la "Leggenda e la Storia". 
Faral ne dà un'interpretazione prettamente storica, puntuale e precisa, noi vi leggiamo la poesia e la fantasia, il reale e l'immaginario; uno dei tanti itinerari del "Meraviglioso" del mondo medievale. 
 
Il nostro manoscritto (Reginense latino n. 1534) probabilmente del XV secolo, è splendidamente miniato con fiori e piante dai vividi colori e con ori delicati che solo i miniatori dell'epoca erano capaci di dare ai fogli di pergamena. Le rubriche ingemmate, strette le lettere in volute e serpentine simili alla scrittura runica; blu e rosso e oro sul fondo della pergamena candida, di finezza straordinaria. Una scrittura lineare, "facile", ove il gotico tortuoso si intravede appena.  
Un manoscritto di gran lusso, copiato con cura meticolosa, di squisita fattura e ove Merlino, disegnato vicino a Vortingern in primo piano sullo sfondo di un lago ove lottano i fantastici draghi, è vestito di rosso ed è un adulto, per niente dissimile dai personaggi di Gentile da Fabriano o di Duccio di Boninsegna. 
 
Il manoscritto reginense "stacca" la Profezia di Merlino dal contesto dell'Historia Regum Britanniae e dal resto (dissertazioni geografiche di Solino sulla Gran Bretagna) segno che la Profezia era un libro a parte. 
Faral, infatti, dice che Geoffrey scrisse le profezie di Merlino su sollecitazione di Alessandro vescovo di Lincoln. 
Egli interruppe la sua grande opera (Historia) per redigere un piccolo libro che diede in omaggio al vescovo di Lincoln con queste parole introduttive: 
 
... "Nondum autem ad hunc locum historiae (cap. 109 Historia) perveneram, cum, de Merlino divulgato rumore, compellebant me undique contemporanei meipsus prophetias edere, maxime autem Alexander Linconiensis episcopus" ... 
 
La profezia, sotto forma di piccoli libri era largamente conosciuta fin dal 1135; inoltre, aggiungiamo, i testi profetici avevano grande fortuna nel Medioevo. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
l gusto per l'inconoscibile, il fascino degli enigmi e la seduzione  
del "proibito", esercitavano una forte attrazione sugli spiriti dell'epoca e in più, il testo di Geoffrey è bello, pieno di immagini epiche e di metafore poetiche; questo e la sua fama di uomo di corte, colto e raffinato, gli valsero straordinaria fortuna fra i contemporanei e anche dopo. Scritta in versi latini, l'opera di Geoffrey di Monmouth ha lo stile epico della letteratura anglo normanna. 
La Profezia di Geoffrey appartiene, infatti, al patrimonio letterario degli scrittori anglo-normanni del XII e XIII secolo. Molte di queste cronache, storie più o meno attendibili, materiale vario su cui ancora si lavora per le attribuzioni, di carattere utilitaristico e didattico, più che poetico, hanno per oggetto di soddisfare la curiosità ingenua dei lettori che aspiravano a conoscere popoli diversi; leggende dei paesi e delle contrade. 
 
L'altro compito di questa letteratura, quasi sempre in versi ottosillabici, che fanno pensare alla prosa, è più politico: tende infatti alla fusione delle leggende sparse sul suolo della Gran Bretagna per unificare le razze ed i popoli sempre in conflitto. 
Britanni, Angli, Normanni possono trovarsi d'accordo e trovare interessante o piacevole sentire storie antiche o leggende e rifarsi all'inesauribile patrimonio fantastico e alla cultura dei Celti: i progenitori entrati nella leggenda; i popoli dello stesso ceppo per i Normanni e Angli, le cui storie incuriosiscono l'immaginazione dei popoli conquistatori, seppure trasmesse solo oralmente. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
ltro elemento unificatore fu la lingua scelta:il latino, simile a quello delle funzioni religiose e con tutte le caratteristiche dell'uso ecclesiastico. 
Nobili, eruditi, chierici potenti, continentali e insulari ma tutti dello stesso tipo culturale, questi furono i contemporanei ed i "compagni" di Geoffrey. Tutti scrivevano in latino, cercando di vivificarlo dello spirito popolare che influenzerà i futuri scrittori in lingua volgare. 
Su tutte , la più celebre è la produzione di Geoffrey di Monmouth. 
I motivi? L'elemento fantastico, sentimentale, poetico, di cui le opere di Geoffrey sono piene, influenzerà la cultura francese e le letterature dell'intera Europa. 
 
Le belle avventure di sogno e d'amore, di magia e d'orrore (La vita merlini, l'Historia Regum Britanniae, le Profezie), in cui troviamo il tradimento di Vortingern, l'amore di Uther Pendragon per Ygraine, duchessa di Cornovaglia, la magia di Merlino su questo amore e la profezia della stella e del drago dei Pendragon, da cui nascerà Artù, speranza e salvezza della Britannia, la vicenda di Artù, come re e come uomo, che ognuno più o meno conosce, saranno la base della letteratura francese e inglese e arriveranno fino al nostro "Dolce Stil Novo".  
Anche l'Arte e la musica saranno influenzate dalla letteratura cortese e in Italia giù fino a Otranto, in Puglia, troviamo raffigurato, nel mosaico del pavimento della cattedrale, re Artù e le sue armi.  
 
La fortuna del ciclo di leggende tratto da Geoffrey di Monmouth si perpetua nei secoli successivi al XII, espandendosi in Francia e in Inghilterra principalmente; esso diventerà più solare, più vario, si illuminerà di una luce religiosa e mistica, quella della ricerca del Santo Graal, immesso nel ciclo da Chretièn de Troyes, Maria di Francia, Robert de Boron e altri; sconosciuti trovieri e trovatori, per diventare una marea di racconti e di storie i cui personaggi si chiamano Lancillotto, Galahad, Gawain, Viviana, Morgan, Morgause e Mordred, figlio di Artù che gli darà la morte e che è tema dell'opera di Thomas Malory nel XV secolo. 
A questi si aggiungeranno Tristano e Isotta e altri. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
erlino sarà sempre un Profeta, ma soprattutto un mago, alla fine sconfitto dall'amore per Viviana.  
Tradito, solo, Merlino è racchiuso in una grotta di cristallo finché il destino dell'Inghilterra non richiederà la sua presenza e quella di Artù come difensori delle torri dell'Isola. 
Tennyson nel 1859 scriverà ancora per Merlino e Viviana uno degli Idylls of the King e il tedesco K.Immermann scriverà un dramma in versi su di lui. La scrittrice americana Mary Stewart farà una rievocazione di tutto il ciclo Arturiano e di Merlino in quattro volumi. 
 
Questo a testimonianza dell'intramontabile fascino delle storie britanne. 
Sono stati riportati solo pochissimi esempi, ma esiste una smisurata biografia su Artù e Merlino. 
A conclusione si può dire che la Profezia diventerà un cangiante filo rosso all'interno delle intricate storie del cosiddetto "Ciclo Brettone" e perderà la connotazione "patriottica" che sembra, Geoffrey di Monmouth, le abbia dato. 
Resterà nella storia di Artù e diventerà sempre più esile, man mano che l'elemento pagano scompare per far posto a quello cristiano. 
In tutto questo il personaggio di Merlino e la sua profezia per l'Inghilterra restano una testimonianza poetica e letteraria dal fascino intramontabile.
 
 
 
 
 
 
 
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