di Ninni Raimondi 
14 Luglio 2024
8 Repubblica Sociale Italiana
Repubblica Sociale Italiana 
Il bene e il male 
 
 
Non parlerò degli altri episodi avvenuti tra il ’43 e il ’45. 
 
Fu un periodo oscuro della Storia in cui tutti, pur di raggiungere il loro obiettivo, fecero di tutto. Vorrei invece mettere in evidenza le principali differenze tra la violenza da parte fascista e quella da parte partigiana. 
In tutti questi anni si è creato il mito del ‘mostro’ fascista e si è propagandata il concetto di contrapposizione tra il ‘bene‘, incarnato dai partigiani’, ed il ‘male‘, incarnato dai fascisti e dai nazisti. 
 
La realtà, ovviamente è un po’ diversa. 
In linea di massima possiamo dire che la R.S.I. era il governo legale dell’Italia settentrionale e, come tale, riconosciuto non solo dagli alleati Germania e Giappone, ma anche dai nemici Inghilterra, Francia e Stati Uniti d’America. 
 
Anche volendolo negare, resta comunque il fatto che fosse l’effettivo governo dell’Italia del nord. Con le sue forze armate,la sua polizia, la sua pubblica amministrazione e tutto quello che forma un normale stato. Ed era in guerra e alleato dei tedeschi. 
Aveva inoltre alla sua base una profonda ragione morale che può piacere o non piacere, ma che ne legittimava l’esistenza. Era infatti nato per tener fede al patto con gli alleati, a prescindere dalle circostanze negative o positive della guerra in corso. Considerava pertanto immorale il repentino cambio di fronte effettuato dal Re con la dichiarazione di guerra alla Germania e l’alleanza con gli alleati. 
E fu questo il motivo per cui, da tutta Italia, migliaia e migliaia di volontari risposero all’appello arruolandosi sotto la sua bandiera. 
 
Si può discutere sull’opportunità di tale scelta o sulla decisione nel 1940 di entrare in guerra a fianco della Germania, ma non si può negare nè la legittimità del governo, nè il fatto che tenne fede alle decisoni adottate nel ’40. 
 
E tanto per essere più chiari non sto affatto dando un giudizio positivo o negativo nè sul fascismo, nè sul nazismo. 
Il Fascismo era indubbiamente una dittatura, e tale rimase anche dopo il ’43. E questo giustifica ovviamente quanti abbiano lottato er sostituirla con una democrazia. Il punto però è un altro. La R.S.I. era uno Stato e come tale aveva il dovere e il diritto di difendersi. 
 
E lo fece con azioni contro i partigiani, che in effetti oltre ad essere oppositori armati erano anche per la maggior parte disertori o renitenti alla leva. Lo fece quindi nel modo in cui qualsiasi Stato e qualsiasi esercito avrebbe agito in tempo di guerra: fucilando chi fosse stato preso. 
Ci furono ovviamente esagerazioni rappresentate spesso da torture di prigionieri e da bande armate che particolarmente feroci e violente. 
Ma si può dire in linea di massima che la violenza della R.S.I. fu rivolta essenzialmente verso i partigiani ed i loro collaboratori. Le condanne a morte, almeno quelle eseguite dalle forze regolari, erano l’applicazione di una sentenza di un Tribunale. Ed in alcuni casi, anche su intercessione dello stesso Mussolini, i prigionieri (che sicuramente avrebbero subito una condanna a morte) furono graziati e lasciati liberi. Ma di questo parleremo più avanti. 
Non secondario inoltre il fatto che la violenza fascista fu la reazione alla violenza partigiana. Non ci fosse stata quella, non saremmo qui oggi a parlare dell’altra. 
 
Dall’altro lato, invece, la violenza partigiana fu spesso indiscriminata. Vi furono vittime innocenti, tante, che caddero o per mano di delinquenti comuni che militavano nelle file partigiane e che furono sempre appoggiati, anche dopo la guerra, dagli apparati comunisti, o per motivi politici che ben poco avevano a che vedere con il loro credo politico. 
La reorica partigiana ha stravolto le cose. Ha bollato come infame la reazione di autodifesa della R.S.I. ed esaltato come sublime la violenza dei partigiani.  E questo non tanto durante la lotta, ma dopo la fine della stessa e fino ai giorni nostri. 
 
Un esempio che spiega meglio di ogni parola queata retorica lo troviamo nell’accusa lanciata  contro Giorgio Almirante di essere un ‘fucilatore‘, accusa ripresa in questo periodo alla proposta di intitilare una via di Roma allo stesso Almirante. 
La campagna diffamatoria fu iniziata, naturalmente dal PCI sostenuto dai suoi reggicoda, nel 1997, anno in cui sembrava che il MSI dovesse avere un notevole incremento di voti. 
L’accusa era di essere stato un ‘fucilatore’ per aver firmato un bando nel 1944 che prevedeva la fucilazione per i militare unitisi alle bande partigiane che non si fossero costituiti prima del maggio 1941. 
 
Ecco il testo integrale del manifesto: 
Alle ore 24 del 25 Maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. 
Entro le ore 24 del 25 Maggio gli sbandati che si presenteranno isolatamente consegnando le armi di cui sono eventualmente in possesso non saranno sottoposti a procedimenti penali e nessuna sanzione sarà presa a loro carico secondo quanto è previsto dal decreto del 18 Aprile. I gruppi di sbandati qualunque ne sia il numero dovranno inviare presso i comandi militari di Polizia Italiani e Tedeschi un proprio incaricato per prendere accordi per la presentazione dell’intero gruppo e per la consegna delle armi. Anche gli appartenenti a questi gruppi non saranno sottoposti ad alcun processo penale e sanzioni. Gli sbandati e gli appartenenti alle bande dovranno presentarsi a tutti i posti militari e di Polizia Italiani e Germanici entro le ore 24 del 25 maggio. 
Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. 
Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia.” 
 
Nei diversi processi che seguirono, intentati per diffamazione da Almirante, si trova traccia abbondante in rete. Almirante fu condannato credo in tutti. Non si trova traccia, invece, dell’ultimo processo, quello presso la corte di Cassazione di Bologna che gli diede ragione. O meglio si trova un solo accenno ad opera di Pannella in un suo discorso del 15 giugno 1982: 
…Ma chi ha gettato nella polvere Almirante? Coloro che hanno avuto bisogno di non far sapere che nella zangheriana Bologna – poco fa – una Corte d’appello, in cinque minuti, ha mandato assolto Almirante dall’accusa di essere stato un fucilatore, dopo aver fatto tanta demagogia su altre sentenze, per cinque o sei anni? E’ successo un mese fa, ma voi non ne sapete nulla: in base a precedenti sentenze della magistratura si era detto che Almirante era un fucilatore, ma quella Corte di appello di Bologna ha dato in cinque minuti ragione ad Almirante. E sappiamo che nessuno a Bologna può essere in dissidio radicale con il potere degli zangheri: figuratevi se una Corte d’appello potrebbe non sentire il richiamo di quella organizzazione ferrea della città, della regione, dei ceti sociali. Se quella Corte di appello avesse avuto torto tutti i giornali avrebbero scritto di quella sentenza. Invece, nessuno ne ha saputo nulla….” 
 
Ora alcune semplici considerazioni. 
1°) - Almirante era all’epoca del manifesto un funzionario del Ministero della Cultura Popolare della R.S.I.. non poteva quindi in nessun caso produrre un tale documento (non era nelle competenze del Ministro, figuriamoci se poteva esserlo in quelle di un funzionario.  
2°) - Poteva al massimo ricevere ed eseguire l’ordine di comunicarlo alle vari prefetture. 
3°) - il manifesto stesso, conosciuto come ‘manifesto del perdono‘ estendeva una precedente amnistia che secondo un precedente decreto rivolto ai militarii sbandati che avrebbero dovuto essere fucilati. 
4°) - la fucilazione per idisertori e i renitenti alla leva era una legge comune a tutti i governi e ovunque applicata. Il caso in questione non rappresenta quindi alcuna novità, anzi promette la salvezza a coloro che si fossero presentati alle autorità. 
 
Altra accusa, mossa sempre ad Almirante è quella di essere stato firmatario nel 1938 del Manifesto della razza, dal 1938 al 1942 collaborò alla rivista La difesa della razza come segretario di redazione. 
 
L’accusa è vera, ma si dimenticano due cose: 
1°) - La collaborazione a La difesa della razza fu l’unica esperienza che Almirante sconfessò completamente affermando “di aver superato la sua adesione al movimento razzista per ragioni umane e concettuali, per uno di quei superamenti di coscienza ai quali bisogna pur pervenire se si vive con piena onestà la propria fede e la propria dottrina“. 
2°) - ebbe in quel periodo molti ed emeriti collaboratori, la maggior parte dei quali emigrò a fine della guearra nel PCI e di cui non ne ricordo uno che facesse pubblicamente ammenda.  
Ne ricordo un paio: Azzariti  Luciano, presidente del Tribunale per la Razza dal 1938 al 1943.  
Venne nominato da Togliatti nel 1946 capo dell’ufficio legislativo del Ministero di Grazia e Giustizia. Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano Repubblica, nel 1942 scriveva:  “Gli imperi moderni quali noi li concepiamo sono basati sul cardine “razza”, escludendo pertanto l’estensione della cittadinanza da parte dello stato nucleo alle altre genti”… “la razza può considerarsi come un termine intermedio tra l’individuo e la specie, cioè fra due termini opposti, intendendo la specie, nel suo significato biologico, come la somma di tutti gli individui capaci di dare fra loro incroci fecondi”.