Tutto il tempo del mondo 
17 Luglio 2019  
 
Quando udì un leggero colpo alla porta, Roberto Astolfi passò rapidamente in rassegna la stanza con un moto circolare e quasi automatico dello sguardo. Il suo aspetto banale e rispettabile lo soddisfece, e avrebbe dovuto rassicurare qualunque visitatore. Non che avesse qualche ragione di aspettarsi una visita della polizia, ma valeva sempre la pena di non correre alcun rischio. 
 
– Entrate, – disse, dopo una pausa sufficiente per togliere dalla scansia vicina i Dialoghi di Platone: forse il gesto aveva un carattere ostentato, ma faceva sempre una buona impressione sui suoi clienti. 
La porta si aprì lentamente. Sulle prime, Astolfi continuò la sua intenta lettura, senza curarsi di alzare gli occhi. Provava una leggera accelerazione del cuore, un senso vago e quasi piacevole di oppressione al petto. Era certo che non poteva trattarsi in nessun modo di un “piedi piatti” qualcuno l’avrebbe avvertito. Ma un visitatore che non era stato preannunciato rappresentava comunque un fatto inconsueto, e quindi potenzialmente pericoloso. 
Astolfi posò il libro, guardò la porta, e chiese in tono per nulla impegnativo: – Cosa posso fare per lei? – Non si alzò; quelle cortesie appartenevano a un passato che aveva ormai seppellito da tempo. Inoltre si trattava di una donna, e negli ambienti che frequentava le donne erano avvezze a ricevere gioielli, vestiti e danaro, ma non certo attestazioni di rispetto. 
C’era però qualcosa, nella visitatrice, che lo costrinse suo malgrado ad alzarsi in piedi. Non era tanto perché fosse bella, ma perché mostrava di possedere una autorità tranquilla e per nulla sforzata, che la trasportava in un mondo del tutto diverso da quello delle sgargianti puttanelle che era solito incontrare nel suo normale giro d’affari. C’erano un cervello e uno scopo dietro quegli occhi calmi che soppesavano le cose attorno; un cervello, Astolfi sospettò, pari al suo. 
Non sapeva come la stesse grossolanamente sottovalutando. 
 
– Signor Astolfi, – cominciò, – non perdiamo tempo. So chi è, e ho del lavoro per lei. Ecco le mie credenziali. 
Aprì una borsa ampia ed elegante, e ne trasse un grosso fascio di banconote. 
– Può considerare questo, – disse, – come un campione. 
Astolfi afferrò il fascio che la donna gli aveva gettato con tanta indifferenza. Era la più grossa somma di danaro che avesse mai avuto in mano in vita sua: almeno un centinaio di biglietti da cinquecento Euro, tutti nuovi e numerati in serie. Li palpò: se non fossero stati genuini, apparivano così ben imitati che la diversità non aveva importanza pratica. 
Fece scorrere il pollice su e giù lungo l’orlo della fascetta al modo di chi tasta un mazzo di carte da gioco per riconoscere una carta segnata. 
– Mi piacerebbe sapere dove li ha presi. Se non sono falsi, devono scottare e saranno difficili da spendere. 
– Sono autentici. Un momento fa erano nelle casse della Banca d’Italia; ma, se non le servono, li può buttare nel fuoco. Volevo soltanto dimostrarle che intendo parlare di affari. 
– Continui -. E le indicò la sola sedia della stanza, assestandosi, per suo conto, sull’orlo del tavolo. 
Ella trasse dalla sua capace borsa un fascio di carte e gliele porse. – Sono pronta a pagarle qualsiasi somma, se mi metterà al sicuro le cose elencate in questa lista, portandomele al tempo e luogo che fisseremo. E, soprattutto, le garantisco che potrà commettere i furti senza alcun rischio personale. 
Astolfi guardò la lista e sospirò: “Questa donna è pazza”. Tuttavia conveniva darle corda: ci potevano essere altri quattrini della stessa fonte da cui erano venuti i primi. 
– Vedo, – disse in tono sommesso, – che si tratta di oggetti che si trovano a Bologna e che molti di essi sono, letteralmente, di valore inestimabile. Intendo dire che lei non potrebbe comprarli né venderli. 
– Non ho nessuna intenzione di venderli. Sono una collezionista. 
– Così pare. E cosa sarebbe disposta a pagare per acquisire questi oggetti? 
– Dica una cifra. 
Vi fu un breve silenzio. Astolfi soppesava le possibilità. Provava un certo orgoglio professionale, ma c’erano cose che nessuna somma di danaro avrebbe permesso di compiere. Comunque, sarebbe stato divertente vedere fino a che altezza l’offerta sarebbe arrivata. 
Egli guardò nuovamente la lista. 
– Penso che un milione netto sarebbe un prezzo ragionevole per questa partita di merce, – disse ironicamente. 
– Temo che non mi prenda molto sul serio. Con i suoi intermediari, dovrebbe essere capace di piazzare anche questi. 
Ci fu un lampo, e qualcosa scintillò nell’aria. Astolfi afferrò la collana prima che cadesse in terra; e, suo malgrado, fu incapace di reprimere un singulto di stupore. Un’intera fortuna brillava tra le sue dita: il diamante centrale era il più grosso che avesse mai visto; doveva essere uno dei più famosi gioielli del mondo. 
La visitatrice appariva del tutto indifferente quando egli fece scivolare la collana in tasca. Astolfi ne fu estremamente colpito: sapeva che non stava recitando. Per lei quella gemma stupenda non aveva più valore di uno zuccherino. Si trattava di pazzia a un grado inimmaginabile. 
– Ammesso che lei possa ottenere il danaro, – disse, – come pensa che sia possibile, fisicamente, fare quanto mi chiede? Si potrebbe rubare questo o quello degli oggetti indicati nella lista, ma in poche ore il museo sarebbe pieno di poliziotti. 
Con una fortuna in tasca, poteva concedersi di parlar chiaro; inoltre, era curioso di saperne di più intorno alla fantastica visitatrice. 
 
Ella sorrise piuttosto tristemente, come per accontentare un bambino ritardato di mente. 
– Se le mostrerò il modo, – disse a bassa voce, – lo farà? 
– Sì, per un milione. 
– Non si è accorto di qualcosa di strano da quando sono arrivata qui? Non è tutto… molto tranquillo? 
Astolfi ascoltava. Dio, aveva ragione! La stanza non era mai completamente silenziosa, neppure di notte. Prima c’era un vento che soffiava sui tetti, dov’era andato a finire? Il rumore distante del traffico stradale era cessato; cinque minuti prima aveva maledetto gli autocarri che andavano e venivano sul piazzale di scarico del magazzino alla fine della via. Cos’era capitato? 
– Vada alla finestra. 
Egli ubbidì all’invito e tirò il sudicio cordoncino aprendo le tendine con dita che tremavano leggermente, benché cercasse in tutti i modi di controllarsi. Quindi si rilassò. La strada era completamente vuota, come spesso a metà mattina. Non c’era più movimento, e quindi non c’era motivo perché si dovessero udire dei rumori. Poi guardò in giù la fila di case piuttosto sporche verso il piazzale di scarico. 
La visitatrice sorrise mentre lui si irrigidiva per il colpo. – Mi dica che cosa vede, signor Astolfi. 
L’uomo si voltò lentamente col viso pallido e i muscoli della gola in movimento convulso. 
– Chi è lei, – ansimò, – una strega? 
– Non dica sciocchezze. La spiegazione è semplice. Non è il mondo che è cambiato, ma lei. 
Astolfi fissò di nuovo quell’incredibile pulsare del motore acceso, con la sua piuma di vapore gelato immobile come un bioccolo di cotone. Si accorse ora che anche le nuvole erano immobili, mentre avrebbero dovuto vagare in cielo. Tutto intorno a lui aveva la calma innaturale di una istantanea, la vivida irrealtà di una scena colta in un lampo al magnesio. 
– È abbastanza intelligente per capire che cosa accade, anche se non può sapere in che modo avvenga. La dimensione del suo tempo è stata alterata; un minuto del mondo esterno equivarrebbe a un anno in questa stanza. 
 
Aprì di nuovo la borsa e stavolta estrasse qualcosa che sembrava un braccialetto d’una specie di metallo argenteo, con una serie di comandi e di interruttori inseriti nella sua struttura. 
– Può chiamarlo un generatore personale di energia, – disse. – Se se lo cinge al polso, diventerà invincibile. Sarà in grado di andare e venire senza ostacoli. Potrà rubare tutto quanto elencato nella lista, prima che una delle guardie del museo abbia battuto ciglio. Quando avrà finito, potrà allontanarsi di parecchie miglia prima di togliere il campo e di rientrare nel mondo normale. 
– Ora mi ascolti bene, e faccia esattamente quanto le dico. Il campo ha un raggio di due metri, così lei deve mantenere almeno questa distanza da qualsiasi altra persona. Secondariamente, non dovrà spegnere il campo fino a che non abbia completato il suo lavoro e le abbia dato il suo compenso. È molto importante. Ora il piano da me elaborato è questo… 
Nessun criminale nella storia del mondo aveva mai posseduto una simile potenza: era inebriante. Tuttavia Astolfi si chiedeva se ci si sarebbe mai abituato. Aveva rinunciato a tormentarsi in cerca di spiegazioni, almeno fino a che il lavoro fosse stato fatto e avesse ottenuto la sua ricompensa. Allora, forse, avrebbe lasciato l’Inghilterra e goduto di un ben meritato riposo. 
La sua visitatrice era andata via pochi minuti prima di lui, ma quando egli uscì sulla strada la scena era rimasta tale e quale: benché vi si fosse preparato, la sensazione era ancora snervante. Astolfi provò l’impulso di affrettarsi, come se una situazione di quel genere non potesse in alcun modo durare, ed egli dovesse ultimare il suo compito prima che il congegno si scaricasse: il che, gli era stato assicurato, non sarebbe mai potuto accadere. 
In Via Indipendenza rallentò il passo per guardare il movimento congelato, i pedoni paralizzati. Fece attenzione, come gli era stato raccomandato, a non avvicinarsi a nessuno per evitare che entrasse nel suo campo di energia. Come appariva ridicola la gente quando la si vedeva in quello stato, privata della grazia che solo il movimento può dare, con le bocche semiaperte in smorfie assurde! 
 
Doversi fare aiutare non gli era congeniale, ma alcuni aspetti del suo compito erano troppo gravosi perché potesse assolverli da solo. Inoltre poteva pagare con liberalità senza nemmeno accorgersene. La maggiore difficoltà, – pensò, – era di trovare qualcuno abbastanza intelligente da non spaventarsi, o così stupido da prendere tutto per buono. Decise di tentare la prima possibilità. 
L’abitazione di Filippo Luciani era in una strada laterale così vicina al posto di polizia da dare la sensazione che la mascherata fosse spinta veramente troppo oltre. Mentre passava davanti all’ingresso, ebbe la confusa visione del sergente di turno alla sua scrivania, e resistette alla tentazione di entrare per unire l’utile al dilettevole e cogliere due piccioni con una fava. Ma questo genere di cose doveva essere rimandato a più tardi. 
La porta di Filippo si aprì, mentre egli si avvicinava. Era un evento così naturale in un mondo dove nulla era normale, che ci volle un po’ di tempo perché Astolfi si rendesse conto delle sue implicazioni. Il suo generatore aveva fatto cilecca? Guardò rapidamente nella strada, e si rassicurò vedendo il quadro congelato dietro di sé. 
– Bene, ma è proprio Roby Astolfi, – disse una voce familiare. – Fantastico incontrarsi con te così presto di mattina. Hai uno strano braccialetto; credevo che il mio fosse il solo. 
– Ciao, Amilcare, – replicò Astolfi, – pare che ci siano parecchie cose in corso di cui nessuno di noi due sa nulla. Hai ingaggiato Filippo, o è ancora libero? 
– Spiacente, abbiamo un lavoretto che lo terrà occupato per un po’ di tempo. 
– Non c’è bisogno che tu me lo dica: è al MAMBO, il Museo di Arte Moderna di Bologna. 
Amilcare Cossu si accarezzò il suo liscio pizzetto caprino e chiese: – Chi te lo ha detto? 
– Nessuno, ma, dopo tutto, so che sei il più furfante dei commercianti d’arte sulla piazza, e comincio a intuire che cosa sta capitando. È stata una brunetta alta e graziosa a darti quel braccialetto e una lista di acquisti? 
– Non so proprio perché dovrei dirtelo, ma la mia risposta è no. È stato un uomo. 
Astolfi restò per un momento sconcertato, poi si strinse nelle spalle: – Avrei dovuto immaginare che ce n’era più d’uno. Mi piacerebbe sapere chi c’è dietro. 
– Hai qualche ipotesi al riguardo? – chiese Cossu cautamente. 
Astolfi decise che valeva il rischio di dare qualche informazione per saggiare le reazioni dell’altro: – È ovvio che non sono interessati al danaro: hanno tutto quello che gli occorre e potrebbero averne anche di più con questo aggeggio. La donna che ho visto mi ha detto di essere una collezionista. Dapprima ho creduto che fosse uno scherzo, ma ora capisco che diceva sul serio. 
– Ma che c’entriamo noi nel loro progetto? Chi gli impedisce di fare l’intero lavoro da soli? – domandò Cossu. 
– Forse sono spaventati, o forse hanno bisogno – come dire? – della nostra… competenza professionale specifica. Alcuni degli oggetti della mia lista sono piuttosto ben custoditi. La mia ipotesi è che agiscono per conto di un milionario pazzo. 
Era una teoria che faceva acqua, e Astolfi lo sapeva benissimo; ma voleva vedere quali falle Cossu avrebbe cercato di turare. 
– Caro Astolfi, – disse l’altro con impazienza, alzando il polso, – come spieghi questa cosuccia? Non capisco nulla di scienza, ma posso dire che tutto questo è al di là dei sogni più pazzeschi della nostra tecnologia. C’è una sola conclusione che se ne possa trarre. 
– Continua. 
– Questa gente è – come dire? – di qualche altro luogo. Il nostro mondo viene sistematicamente spogliato di tutti i suoi tesori. Sai di tutto quello che si legge sui giornali a proposito di razzi e astronavi? Ebbene, qualcun altro l’ha fatto prima di noi. 
Astolfi non rise. La teoria non era per nulla più fantastica dei fatti. 
– Chiunque siano, – disse, – sembrano conoscere molto bene il modo di ottenere quello che vogliono. Mi domando di quanti gruppi di persone dispongano. Forse, proprio in questo istante, stanno perlustrando il Louvre e il Prado. Il mondo avrà ricevuto un duro colpo prima che la giornata sia finita. 
Si separarono abbastanza amichevolmente, senza che nessuno avesse confidato all’altro particolari di qualche importanza intorno ai rispettivi incarichi. Per un attimo Astolfi pensò di corrompere Filippo con un’offerta più alta, ma non valeva la pena di inimicarsi Cossu. Stefano Raggi sarebbe servito allo scopo. Questo significava dover camminare per circa un chilometro, dato che, come ovvio, tutti i mezzi di trasporto erano inutilizzabili. Sarebbe morto di vecchiaia prima che un autobus avesse effettuato il tragitto. Ad Astolfi non era chiaro che cosa sarebbe potuto accadere se avesse tentato di guidare un’auto mentre il campo di energia era in azione, ed era stato ammonito di non tentare esperimenti rischiosi. 
 
Astolfi si meravigliò che anche un semicretino patentato come Stefano potesse prendere con tanta calma l’effetto dell’acceleratore. C’era qualcosa da dire, in ultima istanza, a favore dei fumetti che erano probabilmente la sua sola lettura. Dopo poche parole di spiegazione sommaria, Stefano si agganciò al polso il braccialetto di riserva, che, con una certa sorpresa di Astolfi, la sua visitatrice gli aveva dato senza commenti. Quindi iniziarono la lunga camminata verso il Museo. 
Astolfi, o, per dir meglio, la sua cliente, aveva pensato a tutto. Si fermarono un momento su una panchina del parco per riposare, mangiare dei sandwich e riprendere fiato: cosicché, quando raggiunsero il museo, nessuno dei due si sentiva stanco per l’insolita fatica. 
Passarono insieme attraverso i cancelli del museo, senza poter evitare, a dispetto della logica, di parlarsi soltanto sottovoce, mentre salivano i larghi scalini di pietra fino alla sala d’ingresso. Astolfi conosceva perfettamente la sua strada. Per fare lo spiritoso, presentò la sua tessera d’ingresso alla sala di lettura, a rispettosa distanza dagli addetti simili a statue. Poté osservare che i lettori, nella sala principale, avevano per la maggior parte lo stesso aspetto che presentavano normalmente, anche senza l’effetto dell’acceleratore. 
Fu un lavoro semplice e lineare, ma parecchio noioso, quello di raccogliere i libri indicati nella lista. Erano stati scelti, come pareva, sia per la loro bellezza in quanto opere d’arte, sia per il loro contenuto letterario. La selezione era stata eseguita da qualcuno che conosceva bene il suo mestiere. L’avevano fatta loro personalmente, o avevano corrotto altri esperti, così come avevano corrotto lui? Si chiese se avrebbe mai potuto anche solo vagamente intuire tutte le ramificazioni del loro piano. 
Si dovettero rompere molti pannelli, ma Astolfi ebbe cura di non danneggiare alcun libro, neppure di quelli che non erano indicati nella lista. Ogni volta che aveva raccolto un carico ragionevole di volumi, Stefano li portava nel cortile, e li ammucchiava sulle pietre del pavimento, dove si venne a formare, a poco a poco, una piccola piramide. 
Non importava che quegli oggetti restassero per brevi periodi fuori del campo dell’acceleratore. Nessuno si sarebbe accorto del loro momentaneo bagliore d’esistenza nel mondo normale. 
Erano nella biblioteca da due ore quando fecero un altro spuntino, prima di passare al lavoro successivo. Astolfi si fermò un momento per sbrigare una piccola faccenda personale; ci fu come un leggero tintinnio quando la vetrinetta, nel suo solitario splendore, concesse il suo tesoro: e il manoscritto di Alice fu messo al sicuro nella sua tasca. 
In mezzo alle antichità, Astolfi non si sentiva altrettanto a suo agio. C’era un certo numero di esemplari da prendere in ciascuna delle gallerie, e qualche volta era difficile capire le ragioni della scelta. Era come se – e qui si ricordò le parole di Cossu – queste opere fossero state selezionate secondo criteri totalmente “alieni” dai nostri. In questo caso, salvo poche eccezioni, essi non erano stati evidentemente guidati da esperti. 
Per la seconda volta nella storia, la vetrina contenente il “vaso di Matilde di Canossa “andò in pezzi. Entro cinque secondi, – pensò, – l’allarme sarebbe squillato in tutto il museo e l’intero edificio sarebbe entrato in tumulto: ma entro cinque secondi lui, Roberto Astolfi, sarebbe stato lontano parecchie miglia. Era un pensiero eccitante, e mentre lavorava febbrilmente per adempiere il suo contratto, cominciava a pentirsi del prezzo che aveva chiesto; comunque, non era troppo tardi. 
Sentì la tranquilla soddisfazione del buon lavoratore mentre sorvegliava Stefano che portava in cortile il grande vassoio d’argento facente parte del Tesoro di Federico II e lo posava accanto al mucchio che aveva raggiunto ormai dimensioni imponenti. – Questa è la scelta al completo, – disse a Stefano – Faremo i conti stasera a casa mia. Ora mi devi restituire questo aggeggio. 
Raggiunsero a piedi le Due Torri e scelsero una strada laterale fuori mano dove non c’erano pedoni nelle vicinanze. Astolfi slacciò l’acceleratore dal polso di Stefano e arretrò di un passo dal suo aiutante, che vide congelarsi in una statua immobile mentre compiva quell’atto. Stefano era ora di nuovo vulnerabile e si muoveva come tutti gli altri uomini nel flusso temporale. Ma, prima che fosse stato dato l’allarme, egli sarebbe scomparso nella folla bolognese. 
Quando Astolfi tornò nel cortile del museo, il tesoro era già scomparso. Dove esso era stato poco prima, c’era la sua visitatrice di… quanto tempo fa? Era sempre calma e graziosa, ma, – pensò Astolfi, – aveva l’aspetto un po’ stanco. Egli si avvicinò finché i loro campi si unirono ed essi non furono più separati da un abisso invalicabile di silenzio. 
– Spero che sia soddisfatta, – disse, – ma come ha fatto a trasportare tutta la merce così in fretta? 
 
Ella toccò il braccialetto attorno al proprio polso e le sue labbra si atteggiarono a uno stanco sorriso: – Abbiamo molti altri poteri oltre a questo. 
– E perché avete avuto bisogno del mio aiuto? 
– Per ragioni di ordine tecnico. Era necessario allontanare gli oggetti di cui avevamo bisogno dalla presenza di altre sostanze. In questo modo potevamo raccogliere solo quello che ci occorreva senza sciupare i nostri limitati – se così posso chiamarli – mezzi di trasporto. Ora posso riavere il braccialetto? 
Astolfi le porse lentamente quello che era stato portato da Stefano, ma non compì alcuno sforzo per sganciare il proprio. Ci poteva essere qualche pericolo in quello che stava facendo, ma era pronto a battere in ritirata al primo allarme. 
– Sono disposto a ridurre il mio compenso, – disse, – in altre parole, rinuncio a qualsiasi pagamento in cambio di questo E si toccò il polso dove la fascia di metallo intrecciato brillava al sole. 
Ella lo guardava con un’espressione enigmatica come il sorriso della Gioconda. (Il quadro, si chiese Astolfi, era forse andato ad aggiungersi al tesoro da lui raccolto? Chissà quanta roba avevano preso dal Louvre…) 
– Non direi che questo sia ridurre il suo compenso. Tutto il danaro del mondo non basterebbe per comprare uno di questi braccialetti. 
– O le cose che vi ho dato. 
– Lei è avido, signor Astolfi. Lei sa che con l’acceleratore tutto il mondo sarebbe suo. 
– E con questo? Avete altri interessi nel nostro pianeta ora che avete ottenuto tutto quello di cui avevate bisogno? 
Ci fu una pausa. Quindi inaspettatamente ella sorrise: – Così ha capito che non appartengo al suo mondo. 
– Sì, e so pure che avete altri agenti oltre a me. Viene da Marte? O non me lo vuole dire? 
– Glielo dirò volentieri. Ma non mi sarà grato di averlo fatto. 
Astolfi la guardò cautamente. Che mai voleva dire con quelle parole? Senza rendersi ben conto del proprio gesto, mise il polso dietro la schiena per proteggere il braccialetto. 
– No, non vengo da Marte, né da qualsiasi altro pianeta di cui lei abbia mai sentito parlare. Non può capire che cosa io sia. Le dirò questo: vengo dal Futuro. 
– Dal Futuro? Ma è ridicolo! 
– Davvero? Mi piacerebbe sapere perché. 
– Se questo genere di cose fosse possibile, tutta la nostra storia passata sarebbe stata percorsa da viaggiatori nel tempo. Inoltre, questo comporterebbe una reductio ad absurdum. Andare nel passato potrebbe cambiare il presente e causare ogni sorta di paradossi e di incongruenze. 
– Sono affermazioni giuste, anche se non sono forse originali come lei pensa. Ed esse possono confutare la possibilità dei viaggi nel tempo in generale, ma non nello specialissimo caso che ora ci concerne. 
– Che cos’ha di particolare questo caso? – domandò. 
– In rarissime occasioni, e mediante lo sprigionarsi di un’enorme quantità di energia, è possibile produrre una singolarità nel tempo. Durante la frazione di un secondo, in cui si verifica questa singolarità, il passato diventa accessibile al futuro, benché in modo molto limitato. Noi possiamo inviare le nostre menti fino a voi, ma non i nostri corpi. 
– Dunque, – disse Astolfi, – lei ha preso a prestito il corpo che io vedo? 
– Ho pagato per esso, come sto pagando lei. La proprietaria è stata d’accordo circa le condizioni. Siamo molto coscienziosi in queste cose. 
Astolfi stava pensando rapidamente. Se la cosa era vera, gli dava un preciso vantaggio. 
– Vuol dire che non avete un controllo diretto sulla materia, e che dovete lavorare per mezzo di agenti umani? 
– Certamente. Perfino questi braccialetti sono stati costruiti qui, sotto il nostro controllo mentale. 
Ella stava spiegando troppo, e troppo prontamente, rivelando tutte le sue debolezze. Un segnale di allarme si era acceso in fondo alla mente di Astolfi, ma egli si era spinto troppo avanti per ritirarsi. 
– Allora, – disse lentamente, – mi pare che lei non possa forzarmi a restituire il braccialetto. 
– È perfettamente vero. 
– È tutto quello che desidero sapere. 
Ella ora gli sorrideva, ma c’era qualcosa in quel sorriso che lo gelò fino alle ossa. 
– Noi non siamo vendicativi né scortesi, signor Astolfi, – disse tranquillamente, – quello che sto per fare risponde al mio senso di giustizia. Ha chiesto quel braccialetto: può tenerselo. E le dirò di quanta utilità potrà esserle. 
Per un momento Astolfi provò un violento impulso di restituire l’acceleratore; ma lei doveva aver letto nel suo pensiero. 
– È troppo tardi. Insisto perché lo tenga. E posso rassicurarla su di un punto: non si consumerà. Le durerà, – e qui riapparve l’enigmatico sorriso, – per tutto il resto della sua vita. 
– Che ne direbbe di venire con me a fare una passeggiata, signor Astolfi? Qui ho finito il mio lavoro, e mi piacerebbe dare un ultimo sguardo al suo mondo prima di lasciarlo per sempre. 
Si voltò verso i cancelli di ferro senza attendere risposta. Divorato dalla curiosità, Astolfi la seguì. 
Camminarono in silenzio nel movimento congelato di Strada Maggiore, dove si fermarono. Per un poco ella indugiò a guardare la folla affaccendata eppure immobile. Quindi sospirò. 
– Non posso fare a meno di rattristarmi per loro, e per lei. Mi chiedo che cosa avreste potuto fare di voi stessi. 
– Che cosa vogliono dire queste parole? 
– Poco fa, signor Astolfi, lei ha detto che il futuro non può interferire retrospettivamente nel passato, perché questo modificherebbe il corso della storia. Era un’osservazione acuta, ma, temo, di nessuna rilevanza, dal momento che, come vede, il suo mondo non ha più una storia che possa essere modificata. 
Ella indicò qualcosa dall’altra parte della strada, e Astolfi si girò rapidamente sui tacchi. Non c’era altro che uno strillone accoccolato su un mucchio di giornali. Un affisso descriveva una curva impossibile nella brezza che soffiava su quel mondo immobile. Astolfi compitò a fatica le parole stampate a caratteri grossolani sull’affisso. 
 
OGGI LA PROVA DELLA SUPERBOMBA 
 
La voce della sua interlocutrice sembrava giungere al suo orecchio da un’estrema lontananza. 
– Le ho detto che il viaggio nel tempo, anche in questa forma limitata, richiede un enorme impiego di energia, di gran lunga maggiore di quello che una singola bomba può sprigionare. Ma quella bomba è soltanto un detonatore… 
Ella indicò il suolo, saldo sotto i loro piedi: – Conosce qualcosa del suo pianeta? Probabilmente no: la sua specie ha imparato così poco. Ma persino i vostri scienziati hanno scoperto che, alla profondità di duemila miglia, la Terra ha una sorta di nucleo denso e liquido. Quel nucleo è fatto di materia compressa che può esistere nell’uno o nell’altro di due stati stabili. Dato un certo stimolo, esso può transire da uno di questi stati all’altro, proprio come l’asse di un’altalena può ribaltarsi al solo contatto di un dito. Ma quel cambiamento, signor Astolfi, sprigionerà un’energia pari a quella di tutti i terremoti sommati insieme dall’origine del vostro mondo. Gli oceani e i continenti voleranno attraverso lo spazio; il sole avrà una seconda fascia di asteroidi. 
– Il cataclisma manderà i suoi echi attraverso le epoche, e ci aprirà una frazione di secondo nel vostro tempo; durante questo attimo, cercheremo di salvare quanto potremo dei tesori del vostro pianeta. È tutto quanto possiamo fare. Anche se i suoi moventi sono stati puramente egoistici e del tutto disonesti, lei ha reso alla specie umana un servizio che non avrebbe mai pensato di rendere. 
– E adesso devo tornare alla nostra astronave, che ci aspetta fra le rovine della terra a circa centomila anni da ora. Lei può tenere il braccialetto. 
 
Il ritiro fu istantaneo.  
La donna congelò di colpo e si trasformò in una fra le altre statue erette nella strada silenziosa. Era solo. 
Solo! Astolfi teneva davanti agli occhi il braccialetto scintillante, ipnotizzato dalla sua complicata fattura e dai poteri in esso nascosti. Aveva fatto un buon affare, e ora doveva tenerselo. Poteva vivere l’intero corso della sua vita, al prezzo di un isolamento che nessun essere umano aveva mai conosciuto. Se avesse tolto il campo, gli ultimi secondi della storia sarebbero scoccati, uno dopo l’altro, inesorabilmente. 
 
Secondi?  
In verità, c’era meno tempo ancora.  
Perché egli sapeva che la bomba doveva già essere esplosa. 
Sedette sull’orlo del marciapiede e cominciò a pensare. 
Non bisognava lasciarsi travolgere dal panico; doveva prendere le cose con calma, senza isterismi. 
Dopotutto, aveva una quantità di tempo a disposizione. 
 
Tutto il tempo del mondo. 
 
 
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