Destini
18 Aprile 2017
Uomini d'arme o semplici lavoratori, accomunati dal desiderio di dimenticare i propri affanni, affollavano i tavoli della piccola locanda  sul crocevia all'estremo nord - est del Grattenzel. Il fuoco scoppiettava allegro nel camino, il vociare cresceva ad ogni boccale servito e nulla sembrava poter turbare i sempre più allegri avventori.  
Ma la figura incappucciata che apparve come dal nulla, in un angolo chetò l'atmosfera e attirò l'attenzione su di sé. Stava lì, seduta in terra, il volto coperto e le mani abbandonate sul saio grigio tra le gambe incrociate. Ubbidendo ad un ineffabile comando ogni bocca si serrò quando l'uomo aprì la sua.  
- Non sono qui per narrarvi la imprese di un invincibile eroe, o per descrivervi luoghi misteriosi ed esotici. Aprite le vostre menti e stasera ognuno di voi saprà qualcosa di più sul proprio destino.  
Qualche borbottio stupito aveva accompagnato quelle parole. Il vecchio - chi poteva poi dire se lo era davvero? La sua voce era antica, ma impossibile da scorgere il volto - rimase in silenzio per un lungo minuto. Nessuno osò più fiatare. Anche l'allegro schioppettio del caminetto lasciò il posto al sommesso sibilare delle braci... solo quando il silenzio divenne totale l'uomo riprese a parlare.  
 
Un guerriero arranca tra le rocce.  
Non ci importa il suo nome.  
Non ci importa cosa ha appena fatto.  
Chi ha appena ucciso.  
Potrei dirvi di come ha da poco affondato l'acciaio brunito della propria spada nel cuore di una creatura delle tenebre. Oppure potrei dirvi di come solo un giorno fa la sua corazza è stata coperta dal sangue dei suoi nemici. Potrei... ma non è importante. O meglio, non lo è per noi, ma è innegabile che lo sia per lui. Rievoca i giorni passati, le epiche gesta e l'ardore della battaglia. La sua mano freme sull'elsa della spada, quando le sue orecchie odono di nuovo il fragore delle armi e le sue narici si riempiono dell'odore dolciastro del sangue. Ma il suo cuore non è arido come quello di un mercenario. Egli ha combattuto per la propria casa. Tra i pensieri di sangue e valore si insinua la gratitudine per la madre. - Io so che il tuo destino è segnato - aveva detto con voce priva di ogni inflessione - ma ti farà solo del male sapere che cosa ti serba il futuro. - Come aveva ragione! Come era stata saggia! Forse se avesse saputo prima di essere destinato a compiere gesta grandiose la sua volontà si sarebbe infiacchita e non avrebbe avuto la forza di tornare sino alla casa che lo aveva visto nascere. Si, era destinato anche a tornare. Questi pensieri aprono la strada ad altri, più romantici che giacciono sopiti nel profondo della sua anima. Selene.  
 
Lei lo aspetta.  
Forse lo pensa proprio in quel momento. Lui torna per vederla, abbracciarla, baciarla. Ha rinunciato al bottino, alla gloria e alle gozzoviglie, non erano nulla in confronto ad un solo sguardo di Lei. Aveva vista donne più belle, ma solo lei emanava quella luce interiore che lo penetrava. Sorride. Forse era stato il destino a farli incontrare... I suoi pensieri vagano ancora per molto e nemmeno si accorge che il deserto lascia il posto ai prati e che ora i suoi piedi calzati d'acciaio tintinnano sulla dura pietra della strada. Casa.  
Le battaglie, i nemici sconfitti, il sangue, le stanchezze... tutto è obliato mentre corre alle stanze della sua donna. Il clangore della sua armatura riecheggia per i corridoi mentre cade un pezzo per volta, slacciata in corsa dal guerriero folle d'amore. Giunge alla porta. Bussa. La voce soave che ormai da mesi non udiva più, lo raggiunge, balsamo per il suo cuore stanco di aspettare.  
- Mio adorato. Mio custode e mia difesa. Quanto mi sei mancato.  
- Allora fammi entrare perché io possa finalmente baciare le tue labbra, accarezzare la tua pelle fresca, scompigliare i tuoi capelli come fa lo zefiro con i fiori del campo. - Grida il guerriero al di qua della porta sbarrata.  
- Vorrei. Vorrei, ma devo prima attendere.  
- Ditemi. Cosa di tanto importante dovete attendere?  
 
- Non lo so.  
- Com'è possibile?  
- Non so nemmeno questo.  
Il guerriero non si chiede altro. Per lui è sufficiente. Una sua parola è un ordine.  
- E sia mia signora, vado a riposarmi, attenderò ancora che voi vogliate vedermi. Continuerò a pensare a voi.  
- No! Vi prego. Non andatevene. Vorrei che vegliaste sull'uscio della mia camera. Non chiedetemi il perché, vi risponderei ancora come poco fa. Vi chiedo solo se potete farlo.  
- Veglierò su di voi, mia Selene, come ho sempre fatto nel mio cuore.  
Non giunge risposta dalla stanza. La giovane è già caduta addormentata, come fosse stretta nelle protettive braccia del suo custode, che invece è ritto davanti alle porte della camera, fissa il l'oscurità del palazzo pronto a fugare ogni pericolo.  
Passano ore. Forse giorni. Ma egli non abbandona mai il suo posto, né la sua amata esce mai dalla propria stanza. Poche, ma sincere, parole di conforto giungono di tanto in tanto dall'interno. Il Custode, ormai potremmo chiamarlo così ascolta ogni parola. La mastica. La inghiotte. La fa propria. E su di esse costruisce mondi fantastici. Cerca di immaginare cosa possa aspettare la sua adorata. Sa che riguarda loro due, il loro amore.  
Mesi. Forse anni. Il Custode non riposa mai. Ama anche in questo modo. Protegge. Ascolta. Conforta. Attende.  
Poi una notte. Una notte calda. Senza motivo, o forse per mille motivi il Custode bussa alla porta che protegge ormai da una vita.  
 
- Aprimi!  
Al di là della porta una voce rotta dal pianto gli risponde.  
- Perché mio custode? Perché? Non volete più proteggermi? Volete che la notte mi inghiotta?  
Ma lui non ascolta.  
Non dischiude le labbra.  
Percuote invece con forza il legno brunito. Lo colpisce, lo dilania e finalmente entra. Per un attimo la bellezza della donna che ama lo abbaglia. È davvero troppo tempo che non la vede. Lei gli sorride. Forse è quello che anche lei voleva. Forse era destino che finisse così. Lei gli sorride ancora. Raggi di luna scaturiscono dai suoi occhi pieni d'amore.  
Il guerriero distoglie a fatica gli occhi da quella meravigliosa figura. Guarda la stanza: la luce delle candele, i lembi delle lenzuola discoste. Tutto è pronto per lui, per loro.  
- Non stavo aspettando voi.  
Le parole rimbombano nel suo cranio. Egli si piega su stesso. La testa gira e il cuore pare voglia scoppiare. Lascia cadere la spada. Il freddo pavimento corre verso le sue ginocchia. Lame di tristezza lo trafiggono mentre, invano, cerca di dare risposta alle mille domande che scaturiscono dal suo cuore spaccato. Non riesce a parlare. I suoi occhi non vedono più la stanza. Vedono un baldacchino nero come la notte. Sdraiata su di esso, lei. Bellissima. Il candore della sua pelle abbaglia come la luna piena. Ma non è da sola. Qualcosa si muove accanto a lei, avvinghiato a lei. Un uomo. No. Non un uomo. Un’ombra. I muscoli di lei sono tesi per il piacevole sforzo, i lineamenti resi ancora più belli dall'estasi che la pervade. Un’ombra. Il guerriero stringe i pugni sino a quando il sangue defluisce dalle dita. Vorrebbe lottare. Scacciare l'uomo che ha rubato il cuore della sua Selene. Ma non è un uomo. È un’ombra. Ma la rabbia lascia subito il posto al senso di colpa. Senso di colpa? Assurdo, eppure ne viene schiacciato. Mille nuove ferite si aprono nel suo cuore. Calde lacrime gli offuscano di nuovo la vista. Ora è di tornato nella stanza, la guarda. Lei sorride tra le lacrime.  
 
- Mi dispiace - dice.  
Dalle labbra di lui, riarse, bagnate solo dalle proprie lacrime, una sola parola sfugge.  
- Perché?  
- Io sapevo di amare ancora l'uomo a cui appartiene quell'ombra. Ma non volevo che fosse così. Volevo che voi scacciaste quell'ombra. Che voi mi proteggeste dal suo ritorno! 
E così era stata colpa sua. Ecco il motivo di ciò che aveva provato vedendo quell'ombra.  
Il giovane si alza. Frammenti di felicità si staccano dalla sua anima distrutta e cadono a terra per mischiarsi al sangue e al sudore. Vorrebbe correre. Uccidere. Combattere. Invece cammina lentamente. Supera l'uscio. Chiude la porta alle proprie spalle.  
- Ora io aspetterò te. - Sussurra. Solo un singhiozzo gli risponde.  
Lentamente si accascia. La testa reclinata. Vuole concedersi un solo riposo prima di continuare a vegliare. Dorme e sogna. È la prima volta che sogna. Possibile? Nel sogno il dolore svanisce. La pace lo circonda. Davanti a sé vede sua madre.  
- Madre. Ormai so che avete il dono della profezia. Ditemi ciò che non avete voluto svelarmi quel giorno. Il giorno in cui moriste.  
 
- Figlio. È venuto il momento che io ti dica tutto. Tu non sei uomo. Nelle tue vene scorre sangue divino. La morte non ti può toccare se non brandendo il freddo acciaio. Malattie e vecchiaia non possono danneggiarti.  
- Madre è questo allora! Sono destinato a vivere in eterno?  
- No figlio. Tu non sei destinato a vivere in eterno; la tua forza ti permette ciò,  
- Sono dunque le grandi cose ho fatto. Ero destinato a compiere gesta gloriose?  
- No, figlio. Tu non eri destinato a compiere gesta gloriose; il tuo coraggio ti ha permesso ciò.  
- E vero. Sono poi tornato rinunciando alla gloria. Ero dunque destinato a fare ritorno qui, nella mia casa?  
- No figlio. Tu non eri destinato a fare ritorno qui: la tua saggezza ti ha permesso ciò.  
- Ma allora qual è il mio destino? Essere custode di Selene e vegliare su di lei per sempre?  
- No figlio. Tu non eri destinato ad essere suo custode; il tuo amore ti ha permesso ciò.  
- E allora cosa? Ditemi madre! Cosa?  
- Tu figlio mio sei...  
- Cosa? Tutto ciò che credevo è falso! La mia forza, il mio coraggio, la mia saggezza, il mio amore cosa mi servono?  
- Figlio mio, tu guardi ma non riesci a vedere, ascolti ma non riesci ad udire, mangi ma non riesci a gustare. Non capisci, ma capirai. Tu, figlio mio, sei...  
- Ditemi madre! Cosa sono? Il mio cuore si è spezzato stasera! Le mie speranze sono vane. Le vecchie ferite mi dolgono. Ciò che ho fatto, i nemici che ho battuto non sono nulla. La mia vita è vuota, vacua. Non posso vivere nella sofferenza senza sapere cosa mi aspetta! Cosa sono? Madre!  
- Sei...  
- Cosa? Parlate!  
- Destinato a soffrire  
 
Il giovane si desta di scatto.  
La sua armatura luccica sotto il sole mattutino che preannuncia l'imminente scontro.  
Non è tornato a casa, non ha ancora compiuto le grandi gesta del sogno, non esiste nessuna Selene ad aspettarlo. Un sogno. Ma egli ora sa che non è destinato a combattere quella battaglia. Getta a terra la spada, l'armatura, lo stendardo. Cerca un rozzo pezzo di stoffa e se lo calca sulle spalle, si copre il viso. Non sa chi sia Selene ma sa che deve cercarla, viaggiando per l'eternità se necessario, sarà per questo chiamato pellegrino. Un sogno gli ha svelato attraverso un sogno il proprio destino. Sognando ha compreso che quando vorrà ricevere risposte, dovrà dormire. Sarà dunque chiamato dormiente. Si allontana lentamente dal campo... consapevole del proprio destino.  
 
Riecheggiando nella mente dei presenti le ultime parole del vecchio si spensero. Come si spensero le ultime braci nel caminetto.  
Celato da quelle tenebre l'uomo si alzò ed uscì.  
Nemmeno l'occhio più acuto avrebbe potuto scorgere, coperto dallo spesso saio, il suo volto privo di rughe solcato da un argentea lacrima...  
 
 
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