Convoglio
23 Marzo 2017
 
Sono in viaggio, sono in viaggio da tempo anche se non posso ricordare nè la partenza nè dove sono diretto.  
Tutto ciò che è prima di questo treno io l'ho dimenticato, ho avuto una vita prima, un lavoro, una famiglia, una casa, ma dove siano lo ignoro.  
Sono qui, viaggio, viaggio sì ma verso dove?  
 
Il convoglio è composto da un unico immenso scompartimento, enorme, largo, ma soprattutto interminabile, per giorni ho tentato di risalirlo per arrivare alla motrice e vedere chi fosse il guidatore e forse chiedergli, se mi avesse dato ascolto, quale fosse la nostra destinazione... per giorni e giorni ho camminato instancabilmente, fermandomi solo per brevi soste o per un rapido sonno agitato.  
Poi alla fine ho rinunciato, vi è senz'altro una motrice che fa viaggiare questo assurdo convoglio composto da un unico vagone senza fine ma quanto disti nessuno sa dirlo.  
Il treno è pieno di viaggiatori, giovani e vecchi, uomini e donne, un po’ ovunque vi sono lunghi tavoli e panche, o sedili di vario genere, rozzi in duro e scomodo legno annerito dall'uso, oppure in soffice velluto bordò o testa di moro, qua e là con strappi e scuciture che lasciano fuoriuscire l'imbottitura, ma nessuno ci fa caso.  
Vi sono anche settori a cuccette per chi vuol dormire, da solo o in compagnia, qua e là anche piccoli scompartimenti più lussuosi con sedili foderati in lucida pelle anch'essa usurata dall'uso e pesanti tende damascate ai finestrini come per nascondere il panorama esterno agli occhi dei viaggiatori.  
A nessuno interessa guardare fuori e per tutto il convoglio le pesanti tende sono tirate a nascondere i finestrini, per isolarci dall'esterno.  
Lungo i soffitti serpentine di luci al neon, giallastro, crepitante, a tratti spente, ed alle pareti lampade con fiammelle guizzanti che gettano all'intorno i loro deboli bagliori, luci smorte, anemiche, ma sufficienti per vedere e per osservare quest'umanità in viaggio che non si pone domande.  
Qualcuno inganna il tempo facendo sesso, senza curarsi dei vicini, qualcuno osserva interessato, qualche altro aspetta il suo turno ma per lo più nessuno si cura di cosa facciano gli altri.  
Vi sono bagni e settori ristorante, spesso mi fermo a mangiare qualcosa, provando a scambiar due parole con l'inserviente di turno, ma nessuno ha interesse a parlare, soprattutto nessuno vuole sapere dove andiamo e perché. Credo che tutti sappiano e che volutamente cancellino dalla mente la natura del viaggio ed il significato del treno.  
Durante il primo giorno della mia migrazione attraverso il convoglio ho accettato l'offerta di una viaggiatrice, non giovane ma piacente, senza tante cerimonie o preliminari abbiamo avuto un rapporto veloce e completo senza curarci degli sguardi di chi stava attorno a noi.  
Mentre si rivestiva e si rimetteva il reggiseno, ho azzardato la domanda che è sulla bocca di tutti ma che nessuno vuol porre, "Dove va questo treno?".  
E' impallidita di colpo come se le avessi fatto la più oscena delle proposte, poi con voce rauca e tremante per l'ira, puntandomi contro l'indice ha inveito contro di me in modo quasi rabbioso.  
 
"Non fare mai più questa domanda, capito? Mai più!"  
E se n'è andata quasi di corsa sculettando in modo irritante, mentre all'intorno la gente mi guardava e ridacchiava come se avessi detto qualcosa di particolarmente volgare e sudicio.  
Più volte ho provato a scostare le tende per guardar fuori, quando fuori è buio non si vede nulla solo la luce vaga delle stelle e forme indistinte che potrebbero essere colline o montagne lontane, quando invece è giorno non posso tentare di guardare fuori, subito qualcuno mi allontana con una spinta minacciandomi in modo sgarbato e deciso.  
Dalla toilette però sono riuscito un paio di volte a guardar fuori, di giorno la luce fuori è grigia e tetra, una cappa di dense nubi scure nasconde la luce del sole ed incombe sul piatto pianoro che stiamo attraversando, una terra brulla, nerastra, senza traccia di vegetazione, in lontananza colline, aspre, rugose, ripide ed impervie, null'altro, non città o paesi lontani, non segni di civiltà, solo questa steppa arida e morta.  
Dopo alcuni tentativi ho smesso di guardar fuori, non c'è nulla da vedere dall'altra parte e non faccio fatica a capire perché volessero impedirmi di guardar fuori.  
Il cibo qui è insipido, una densa poltiglia, come melassa, sufficiente per nutrirci ma poco invitante all'aspetto, da bere acqua torbida dal sapore rugginoso, come acqua piovana raccolta da vecchie grondaie di ferro logoro. Nessuno mi chiede denaro per questi forzati e sgradevoli ristori ed io prendo ciò che mi danno senza protestare.  
Del resto con che pagare? Non ho denaro con me, non bagagli, nelle mie tasche non vi sono nemmeno documenti o titoli di viaggio, ho solo gli abiti che ho indosso e chi mi circonda non ha nulla più di me.  
Solo i vestiti che indossiamo, ma nulla nelle tasche che possa servire a far luce sul viaggio o sul perché siamo qui.  
Durante i frequenti amplessi con le donne del convoglio, è sufficiente poggiare in terra o su un sedile gli abiti piegati alla meglio, nessuno se ne appropria, al massimo se qualcuno intende sedersi sul sedile scelto per poggiarli, si limita a spostarli con un gesto della mano, nessuno ha interesse alle cose degli altri, al massimo può guardare con interesse qualche gioco erotico particolarmente movimentato, nulla di più.  
Le uniche attività del convoglio sono sempre le stesse, mangiare, dormire, guardare, far sesso. Nessuno dialoga, nessuno accetta il dialogo, ogni tentativo viene subito interrotto con un gesto di fastidio.  
Dopo qualche giorno ho smesso di chiedere o di tentare di dialogare, di tanto in tanto continuo la peregrinazione nel convoglio. Soprattutto per veder facce nuove, quando mi sono stancato delle vecchie, non per altro, lungo il convoglio ognuno si comporta nello stesso modo, non vi sono gruppi o gruppetti, ognuno vive per conto proprio, al massimo guardando chi fa sesso o partecipandovi.  
 
Non vi sono coppie di nessun genere, ne giovani ne anziane, gli stessi accoppiamenti occasionali avvengono in modo casuale, senza corteggiamenti o preliminari, un cenno, ci si spoglia, si fa sesso, ci si riveste e ci si perde di vista nella vastità del convoglio, null'altro.  
Questa sembra essere l'unica occasione e possibilità di socializzare di avere un contatto, fugace a volte, ma nulla di più, come un bisogno rabbioso di sentirsi vivi ad ogni costo, come se con quell'atto per un istante si potesse agganciare a se una sconosciuta compagna di viaggio che caso mai dopo poche ore nemmeno si ricorda più di te e se la incontri di nuovo ti guarda con occhi assenti come se tu fossi uno sconosciuto mai visto prima.  
Ho la sensazione a volte di esser l'unico a farsi domande a cercare risposte ma non è vero, posso leggere negli occhi degli altri quelle mie stesse domande sepolte sotto un velo di indifferente apatia, eppure guai a parlarne, subito l'apatia diventa astioso livore e solo allontanandosi dall'interpellato lo si vede di nuovo risprofondare in quella stessa apatia già dimentico dello scatto di poc'anzi.  
Ed anche io mi accorgo che mi sto uniformando al comportamento degli altri, già due volte ho strattonato via la mano di uno che voleva scostar le tende per guardar fuori e quando quello ha tentato con un timido gesto di scusa di parlarmi mi sono girato di colpo allontanandomi in fretta.  
Perché mi comporto così? Giorni fa io stesso agivo come loro chiedendo o cercando di guardar fuori ed ora invece non voglio sapere, non voglio parlare, non voglio guardare.  
Forse è qualcosa in quella insipida melassa che ci danno per pasto? Qualcosa che smorza la curiosità senza che nemmeno ce ne rendiamo conto?  
Ho provato a non mangiarne, ma il mio comportamento non cambia, più a lungo viaggio, più mi uniformo agli altri, a quelli che c'erano prima.  
Quelli che c'erano prima? Un pensiero strano e sorprendente si sta formando nella mia mente, io non ho ricordi prima di questo treno, solo vaghe sensazioni di qualcosa prima, poi ero qua in mezzo agli altri, col treno già in viaggio da tempo. Allora qualcuno sale, ma da dove? Non ci siamo mai fermati a stazioni o terminal, eppure c'è sempre qualcuno che si guarda attorno spaesato e cerca di far domande a chi è già qui.  
Qualche tempo fa ero io, ora sono altri e altri ve ne saranno, ma da dove salgono? Non vi sono porte nello scompartimento e in nessun momento ho visto qualcuno nuovo entrare da qualche parte o apparire in modo altrettanto misterioso, eppure c'è sempre qualche nuovo viaggiatore con la stessa aria smarrita che forse avevo anch'io qualche tempo fa.  
 
Qualche tempo fa? Quanto tempo fa? Ho detto giorni, potrebbero essere mesi o forse anni, chi ha più il concetto del tempo su questo convoglio!  
Tempo, qualcosa per misurarlo, ma cosa? Non ho orologio, ne ce ne sono in giro, non posso basarmi sui cambiamenti della luce perché le spesse cortine che occludono i finestrini non consentono di rendersi conto se è giorno o notte. I pasti? Non è attendibile, si mangia quando si ha fame, a volte frequentemente a volte solo dopo lunghi e ripetuti periodi di sonno.  
In realtà non si avverte necessità di mangiare, anzi se ne potrebbe fare a meno senza difficoltà eppure periodicamente si finisce sempre davanti all'inserviente di turno per avere una razione di cibo e acqua.  
Si consuma in fretta il pasto spesso senza neppure sedersi, in piedi appoggiati ad una parete, ingozzandosi con rapide cucchiaiate, poi si deposita piatto e posata dentro un grosso bidone smaltato.  
Non ho mai visto se qualcuno ritira questi bidoni con le stoviglie sporche, come non ho mai visto arrivare quelle pulite, il cibo o gli inservienti, stanno lì e puoi starli ad osservare per ore e non vedi avvicendamenti, alla fine ti stanchi, te ne vai e quando torni non è più lo stesso inserviente, ma anche quello nuovo ti guarda e sogghigna come indovinando il tuo segreto pensiero, beffandosi di te e dei tuoi dubbi inespressi.  
Spesso riprendo il mio cammino attraverso il convoglio, sempre sperando di raggiungere la motrice che pur deve esserci al termine di questo assurdo vagone senza fine.  
Ho camminato tanto a volte fino allo sfinimento eppure mai ho avuto la sensazione di essere vicino alla meta.  
Solo una volta mi sono sentito quasi beffato ed in astio verso me stesso per la mia stupidità ed il mio scarso senso d'orientamento. 
Ho riconosciuto infatti una delle donne con cui agli inizi ho avuto un rapido e poco eccitante amplesso e guardando attentamente gli altri ho riconosciuto quello che mi aveva strattonato rabbiosamente la mano, storcendomi il polso quando tentai di guardar fuori.  
Tempo fa ero qui, tanto tempo fa, ora sono qui di nuovo, quindi ad un certo punto della mia peregrinazione forse per errore devo esser tornato sui miei passi, ripercorrendo l'itinerario percorso sino a ritrovarmi nel punto da dove ero partito.  
Poi subito la riflessione, ho riconosciuto quelli pur avendoli visti solo brevemente tanto tempo fa, come mai allora nel mio percorso a ritroso non ho riconosciuto altri visti più recentemente?  
Forse questo treno non ha motrice, è solo un lungo interminabile anello che gira all'infinito su un'immensa rotaia circolare e le colline che si intravedono hanno il solo scopo di nascondere alla vista l'altro semicerchio del convoglio che esse nascondono... allora che senso ha questo viaggio? Perché il viaggio? Se non esiste destinazione qual'è il significato di questo treno toroidale?  
Pensando a questo mi rendo conto di esser vicino a quell'intuizione proibita che tutti sicuramente hanno avuto e da cui rifuggono con orrore e ira.  
E più mi avvicino a quell'intuizione e più la mia rabbia e sgomento crescono, basterebbe dire solo due parole e avrei la risposta a tutte le mie domande, due parole che non voglio, non posso, non devo dire, non posso accettare questa realtà, non posso accettarla e devo nasconderla a chiunque possa essere sul punto di scoprirla.  
"Sono m...." e mi arresto, mi mordo la lingua a sangue per non portare a termine quell'odiosa parola poi cerco intorno a me una compagna qualsiasi per un rapido amplesso rabbioso ed alla fine sprofondo in un sonno agitato ma senza sogni.  
Il giorno dopo riprendo la mia peregrinazione nel convoglio senza fine, cercando una motrice che non esiste, ma in cui devo credere come per fede, perché negando la motrice dovrei accettare la realtà di questo treno che corre nella notte e quella realtà io non posso, non devo, non voglio accettarla!
 
 
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