E se .,..
 
 
 
E se ...       
Lo spettacolo sarebbe stato affascinante per chiunque, ma Manlio Raymond ormai non ci faceva più caso. Aveva davanti lo stesso panorama da quasi cinque anni. Guardare fuori Ganimede, nel vuoto dello spazio, era però sempre rilassante, soprattutto quando questo era accompagnato da un buon sigaro, di quelli prodotti ancora sulla terra, con i metodi tradizionali vecchi di secoli. Certe cose dopotutto erano dure a cambiare, per fortuna. 
Chi avesse osservato la superficie del satellite solo cento anni prima, avrebbe visto una distesa di crateri. Adesso una miriade di luci tradivano la presenza degli esseri umani. 
Inspirò una grossa boccata di fumo denso e dolce, trattenendo il respiro per un paio di secondi, poi espirò e si girò tornando alla sua postazione, lasciando una grossa nuvola scura accanto alla spessa vetrata. Pochi metri, cinque passi. Quello era lo spazio dove se ne stava per la maggior parte della giornata.  
Si sedette sul sedile che aveva sicuramente conosciuto tempi migliori. La fodera in pelle era scucita in un angolo della spalliera, mentre il bracciolo destro, quello con la tastiera, dondolava ogni volta che faceva ruotare la postazione. Però tutto funzionava ancora, malgrado qualche piccolo intoppo nel sistema che di tanto in tanto andava inaspettatamente in crash. 
Controllò lo schermo davanti a se. Nessuno in vista. Per oggi a quanto pare se ne sarebbe rimasto ad aspettare. Non sembrava esserci nessun cargo in avvicinamento dalla luna attorno a cui stava gravitando, né dallo spazio. 
Manlio, 33 anni, terrestre di nascita, ormai una rarità. Il suo soggiorno obbligato nella stazione orbitante Suez stava quasi per terminare. Tra poco più di un mese avrebbe scontato la sua pena e se ne sarebbe andato. L’unico problema era dove. Ci pensava spesso, ma preferiva rimandare la decisione a quando sarebbe stato costretto a prenderne una. Per ora preferiva concentrarsi sul poco che aveva da fare. 
La corte era stata dopotutto clemente. Una condanna ai lavori forzati non avrebbe potuto essere più mite e cinque anni alla sua età erano passati in fretta.  
Il contatto umano. 
Quello che era mancato a Manlio in quei cinque anni, al punto da non capire più se ne avrebbe ancora avuto bisogno una volta tornato in libertà. Gli unici contatti che aveva con altri esseri umani erano con gli equipaggi delle navi cargo che si fermavano a fare rifornimento e con le navi che portavano nuovi coloni. Ma erano rari anche quelli, visto che la stazione Suez gravitava attorno a Ganimede, il più grande satellite di Giove, la distanza massima alla quale per ora si erano spinti gli esseri umani nella loro obbligata colonizzazione del sistema solare, che assomigliava più ad un esilio. Dalla Terra occorrevano mesi per arrivare lì, quindi la maggior parte dei cargo adesso erano completamente automatici, senza alcun equipaggio. Manlio si limitava a seguire e coordinare gli attracchi, i rifornimenti e le partenze. Gli arrivi di coloni si stavano intensificando, ma comunque non attraccava più di una nave al mese. 
Poi c’era Sanchez, uno dei circa due milioni di abitanti di Ganimede, che due volte al mese attraccava con la sua navetta per eseguire i check-up alla stazione. Un uomo simpatico, forse sulla sessantina. Non conosceva la sua esatta età e non gli importava. Non sapeva neppure il suo nome, ma era nato sulla Terra, come lui, e questo aveva fatto nascere fra di loro un rapporto che Manlio non sapeva descrivere, anche se non la definiva amicizia. Come era stato deciso dalla corte non poteva avere alcun contatto fisico con altri esseri umani per tutto il tempo della pena, neppure con Sanchez. Quando l’uomo arrivava si metteva al lavoro in remoto, nella stanza dall’altra parte della vetrata che aveva alla sinistra della sua postazione. In quei cinque anni non c’era stato alcun motivo di intervenire fisicamente a riparare la sua postazione, ma anche in quel caso gli ordini erano precisi. Manlio sarebbe dovuto entrare nella sua zona alloggio, un’unica stanza di circa venticinque metri quadri, compreso un piccolo bagno, in attesa che Sanchez se ne andasse. Finiti i check-up, di solito Sanchez riforniva il magazzino di scorte alimentari, più qualche extra che generosamente portava a Manlio, soprattutto scatole di ottimi sigari prodotti sulla madre Terra. 
Quando rimaneva tempo, i due si mettevano a giocare a scacchi. Un giorno Sanchez aveva portato due scacchiere. Una l’aveva messa nel magazzino, in modo che Manlio potesse prenderla, l’altra l’aveva piazzata su un tavolino accanto alla vetrata. Erano fatte in modo tale che le mosse su una venivano automaticamente replicate nell’altra. In questo modo potevano giocare senza venire a contatto, parlandosi attraverso l’interfono che collegava la postazione di Manlio con l’altra parte del vetro. Manlio aveva piazzato la sua su uno sgabello, proprio di fronte a quella di Sanchez. 
Manlio osservò la scacchiera. La partita della volta scorsa era ancora a metà. Non era messo bene, Sanchez era un osso duro. Non lo batteva quasi mai, anche se di partite in quei cinque anni ne avevano terminate ben poche, visto che si vedevano solo ogni due settimane. 
 
Nessun cargo in vista. Manlio si alzò e andò nel suo alloggio. Dalla vetrata davanti a se, Giove si mostrava in tutta la sua imponente bellezza. Alzò entrambe le braccia e si appese ad un’asta metallica che attraversava tutta la stanza. Cominciò a flettersi, come ormai faceva tutti i giorni, da anni, lasciando che nella sua mente entrasse il vuoto dello spazio e che i suoi occhi si riempissero della sola luce del pianeta. Ormai non contava più il numero delle flessioni come faceva all’inizio. Non contava più neppure le luci sulla superficie di Ganimede. Andava ad oltranza, finché ne aveva voglia. Non era difficile visto che da alcuni mesi c’erano dei problemi all’impianto di gravità della stazione, ed il suo peso corporeo era la metà del normale. Sanchez aveva promesso di ripararlo, ma ancora doveva ottenere il permesso.  
Manlio lasciò andare la presa e si sedette sul letto, una branda piuttosto scomoda. Accanto c’era un piccolo comodino di legno, sicuramente qualcosa che esisteva già prima della nascita della stazione, tanto era vecchio. Se non altro nello spazio tarli non ce n’erano e si conservava bene. Aprì la scatola dei sigari che si trovava sul comodino e ne prese uno. Lo mise in bocca senza accenderlo, quindi si sdraiò sulla branda osservando il soffitto metallico. Cercò di scacciare quei pensieri che gli si affacciavano ogni qualvolta non riusciva a fare il vuoto nella sua mente. Più si avvicinava il momento della sua liberazione, più pensava a quello che avrebbe fatto dopo. Stare per cinque anni da solo, al sicuro anche se prigioniero, aveva i suoi vantaggi, il maggiore dei quali era il non dover pensare ad un dopo. 
Un allarme. Manlio si alzò di scatto, prese gli occhiali dal comodino e si diresse verso la postazione. Sullo schermo era apparsa una navetta. Sanchez. Era in anticipo di almeno quattro giorni, e non era mai successo in tutti quegli anni. 
Manlio prese i suoi occhiali e gli inforcò. Il volto amichevole di Sanchez apparve sullo schermo. 
“Ciao Manlio, sorpresa!”  
“Cosa succede Sanchez? Non è normale.” 
“Lo so, ma come sai ho chiesto di poter venire a fare una riparazione straordinaria. Sono mesi che ho fatto la richiesta, ma il tribunale terrestre, come purtroppo sai, ha i suoi tempi. Così eccomi qui. Prepara l’attracco.” 
Manlio mise la mano destra sulla pulsantiera. Attivò uno dei bracci della stazione che si allungò per far attraccare la navetta. 
“Manlio, non vorrei dirtelo, ma devi chiuderti nel tuo alloggio. Per eseguire la riparazione devo trovarmi nella tua postazione.” 
“Suppongo che prima o poi dovesse accadere.” 
“Mi dispiace amico, ma gli ordini sono questi e se disubbidissi anche io passerei guai seri.” 
“Lo so Sanchez, vado.” 
Manlio si alzò dalla sedia e si diresse nel suo alloggio. La porta si richiuse dietro di se. Si sdraiò di nuovo sulla branda, ancora con il sigaro spento. 
 
Dopo circa mezz’ora la porta dell’alloggio si aprì da sola. 
“Manlio, ho finito. Puoi tornare alla tua postazione.” 
La voce di Sanchez proveniva dall’interfono 
Manlio provò una fatica immensa a mettersi in piedi. 
“Maledizione, non sono più abituato al mio vecchio peso.” 
Si diresse verso la postazione e si sedette. La sedia cigolò più del solito sotto il suo maggior peso, la fece roteare a sinistra. Sanchez si trovava al di la del vetro, sorridente. 
“Non deve essere facile sostenere il tuo vecchio peso. Vedrai che fra non molto questa sensazione sparirà.” 
“Sto bene. Non a caso in questi mesi mi sono tenuto in allenamento. Prima o poi sarebbe successo, o qui, o fuori di qui.” 
“Già… fuori, ti manca poco ormai.” 
Manlio si dondolò sulla sedia. 
“Già che c’eri potevi dare una sistemata anche alla postazione.” 
“Il tempo a mia disposizione non era molto, mi dispiace Manlio.” 
“Che facciamo? Continuiamo un po’ la partita?” 
“Mi piacerebbe, ma gli ordini sono categorici. Per questo intervento speciale avevo poco tempo e l’ho usato tutto.” 
“A presto allora.” 
“Già, a presto.” 
Manlio si girò verso lo schermo, mentre Sanchez usciva dalla stanza dall’altra parte del vetro, verso i moli della stazione. Dopo alcuni secondi la faccia di Sanchez apparve di nuovo sullo schermo. 
“Molla gli ormeggi Manlio, me ne torno su Ganimede.” 
“A presto.” 
“Vedrai che il tempo che ti resta da passare sulla stazione passerà molto in fretta.” 
La navetta si staccò dalla Suez mentre la comunicazione si concludeva. Manlio si alzò e si diresse verso la vetrata, ad osservare la piccola nave che ritornava sulla luna, dietro alla quale stava sorgendo Giove. Tirò fuori un accendino e accese il sigaro. 
 
Manlio venne svegliato dal solito allarme. Si tirò giù dal letto ancora insonnolito e si avviò alla postazione. A quanto pareva una navetta era decollata da Ganimede e si stava dirigendo velocemente verso la Suez. Era insolito. Manlio sorrise, in cinque anni niente di anomalo, e adesso due sorprese in due giorni, ed un diversivo poteva essere divertente. 
“Stazione orbitante Suez, le vostre generalità per favore.” 
Lo schermo rimase spento. Manlio lo accese, ma non apparve nessuna immagine. 
“Ripeto, le vostre generalità per favore.” 
Ancora niente, sempre più strano. La procedura d’emergenza, che non aveva mai attivato, prevedeva che lanciasse un allarme verso Ganimede, in modo che la polizia della colonia potesse intervenire. Prima però doveva tentare un ultimo contatto. 
“Le vostre generalità per favore. Se non le darete, sarò costretto ad avvertire le autorità competenti.” 
Dalla navetta ancora nessuna risposta, ed ormai era soltanto a poche centinaia di metri dalla Suez, in chiara manovra di attracco. Manlio compose la frequenza di allarme ed inviò il segnale. 
Niente. 
Provò di nuovo, ma sembrava che il trasmettitore non funzionasse.  
“Meno male che Sanchez controlla ogni due settimane”, disse ironicamente Manlio. 
La navetta era ormai a meno di centro metri, in piena manovra di attracco, ma non ci sarebbero stati problemi, dato che Manlio non avrebbe azionato i comandi per prepararlo. Se uno dei bracci non si separava dal corpo principale, la piccola navetta non poteva attraccare anche se c’era il rischio che potesse entrare in collisione con la Suez. 
Uno dei bracci di attracco cominciò a muoversi da solo. 
“Non è possibile.” 
Manlio cercò di fermarlo, ma era tutto inutile, i comandi della postazione non rispondevano, come se fossero azionati in remoto. 
“Maledizione!” 
Manlio si sentiva impotente. Prigioniero di quella piccola parte della stazione, non si era mai sentito così in gabbia come in quel momento. Tutto ciò che poteva fare era aspettare per vedere quello che succedeva. 
La navetta attraccò al braccio. Il portello si aprì e ne uscì qualcuno che subito si diresse verso la sala accanto alla postazione. Manlio girò la sedia verso la lastra di vetro alla sua sinistra, in attesa di chi sarebbe entrato. 
La porta si spalancò. 
“Salve Manlio, è da molto che non ci vediamo.” 
Per un attimo a Manlio sembrò di sognare, ma sapeva che chi aveva davanti poteva avere la possibilità di fare questo ed altro. 
“Cosa hai fatto mentre scontavo la pena per tutti e due?” 
“Mi sono nascosto, ma Ganimede è piccolo, ed ancora non mi sono scordato della nostra missione. O devo dire solo la mia?” 
Manlio si alzò in piedi e si avvicinò al vetro. 
“Perché mai dovrei fidarmi di te? Mi hai lasciato da solo in questa stazione per cinque anni. Dove eri mentre subivo il processo? Dove ti rintanavi mentre tutti ti stavano dando la caccia?” 
L’uomo si mise a sedere davanti alla scacchiera di Sanchez. 
“Senti Manlio, voglio farti una domanda. Se fossi stato catturato io, tu cosa avresti fatto al mio posto?” 
Il silenzio di Manlio fu una risposta più che eloquente. 
“Sai che cosa vuol dire la nostra lotta. Lo dobbiamo a quelli che vivono là sotto e negli altri ghetti del sistema solare.” 
L’uomo indicò con un dito la vetrata alla sua sinistra, dalla quale si vedeva Ganimede. 
“Mentre tu te ne stavi al sicuro in questa prigione, io mi sono dovuto nascondere sulla superficie, protetto dai reietti. Quello che abbiamo iniziato cinque anni fa è troppo importante. Non sono qui per darti una scelta.” 
Manlio si rimise a sedere sulla sua postazione. Negli ultimi cinque anni l’idea della ribellione non gli era mai uscita dalla mente, ma pensava che fossa una causa persa in partenza. 
“Senti Carl. In questi cinque anni non ho pensato ad altro. Credi forse che sarei riuscito a resistere qui da solo per tutto questo tempo se non avessi avuto qualcosa in cui credere una volta uscito? Quale pensi sia la pena peggiore, starsene rinchiusi qui o sapere di non avere un posto dove andare una volta fuori?” 
“Vuoi dire che verrai con me? Quello che ti sto offrendo è di far parte di una rete che negli ultimi cinque anni si è accresciuta ed organizzata, mentre tu qui dentro eri all’oscuro di tutto.” 
La mente di Manlio corse a cinque anni prima, quando lui e Carl, insieme a pochi altri, avevano organizzato un attacco al centro del governo della Terra. Un piccolo attacco terroristico che non aveva fatto vittime, per questo la sua pena era stata così lieve. 
“Manlio, devo dirti come stanno le cose. Se sconti la tua pena ed esci da qui sarai costantemente tenuto sotto controllo, e passerai il resto della tua vita senza poter muovere un dito. È questo quello che vuoi? Ti offro la possibilità di una nuova vita, forse da fuggitivo, ma sempre meglio di quello che ti aspetta adesso.” 
Manlio guardò verso la vetrata. Da quell’altezza un pianeta o un satellite sembravano tutti pacificamente uguali. Solo sulla superficie si poteva capire il disagio di chi viveva da reietto. 
“Quanto tempo ho per pensare?” 
Carl si mise a ridere scuotendo fortemente la testa. 
“Manlio, Manlio, Manlio. Tu non hai ancora capito la tua situazione, immagino. Beh, diciamo ancora pochi minuti. Se vuoi usali pure tutti, ma non farà alcuna differenza.” 
Il sorriso di Carl nascondeva qualcosa, Manlio ne era sicuro. Anche se non si vedevano da più di cinque anni, Manlio pensava di intuirne il motivo. 
“La verità è che non ho scelta. O vengo con te o muoio qui, giusto?” 
“Vedo che non dimentichi le abitudini dei vecchi amici. Non c’è niente di personale, naturalmente. Come ti ho già detto, in questi anni si è creata una rete in cui sono molti a prendere le decisioni, non solo io. Comunque, tecnicamente, tu non hai alcuna scelta. Morirai qui.” 
Manlio si sentì per un attimo impotente, poi cercò di ragionare. La sua posizione non gli dava molte possibilità di fuga. Carl si trovava in netto vantaggio, dall’altra parte del vetro e della porta che faceva comunicare le due stanze, porta di cui solo Sanchez aveva la chiave. Doveva prendere tempo. 
“Spiegami solo una cosa. Come hai fatto a controllare la stazione in remoto? I comandi si trovano da questa parte, schermati dall’esterno, a meno che il segnale non provenga da una fonte molto vicina.” 
Carl prese un alfiere e lo spostò sulla scacchiera. 
“Alfiere nero da C-5 mangia pedone in F-2. Mossa stupida in effetti, comunque è scacco al Re.” 
L’alfiere di Manlio scivolò verso il pedone facendolo cadere sulla scacchiera. Manlio istintivamente raccolse il pezzo. Carl rimase seduto, sorridendo. 
“Sanchez fa parte della resistenza?” 
“Vedo che hai capito. La scacchiera da questa parte è servita per amplificare il segnale proveniente dalla mia nave, inviarlo alla tua che lo ha di nuovo amplificato prendendo il comando della stazione. Ovviamente per farlo c’era bisogno di una piccola modifica.” 
“Sanchez l’ha fatta ieri, mentre riparava il dispositivo di gravità.” 
“Semplice no? C’è voluto molto tempo per ottenere il permesso di intervenire, te lo ha detto, ma l’attesa paga. Mi dispiace, il tempo è quasi scaduto.” 
“Anche se decidessi di venire con te, come farei ad uscire di qui? La porta ha un sistema di sicurezza molto sofisticato ed io non ho la chiave.” 
“Ne sei sicuro Manlio?” 
Manlio guardò il pedone che aveva in mano. Lo rovesciò. Dentro qualcosa si muoveva. Si tolse gli occhiali e cominciò a fare pressione con una stanghetta sulla base metallica del pedone. Dopo alcuni secondi la base saltò via rotolando sul pavimento. Manlio alzò il pedone con la mano destra mettendo sotto di esso il palmo della sinistra. Un piccolo oggetto metallico ne uscì. 
Carl si alzò in piedi e si diresse alla porta, facendo segno a Manlio di fare altrettanto. Manlio teneva in mano il piccolo oggetto di metallo, cercando di capire come funzionasse, quando la porta si aprì scivolando lentamente di lato. Dall’altra parte un Carl ancora sorridente lo attendeva. 
“Stavolta è scacco matto.” 
 
La navetta si staccò dalla stazione, dirigendosi verso l’interno del sistema solare. Dopo alcuni secondi la Suez cominciò ad implodere, mentre i gas al suo interno fuoriuscivano da crepe nella struttura. La Suez, ormai ridotta ad un ammasso informe metallico, cominciò a cadere su Ganimede. 
Dentro la navetta, due uomini stavano parlando. 
“Benvenuto fra i defunti Manlio, come ti trovi?” 
“Per ora bene, anche se non so dove stiamo andando.” 
“Verso la fascia degli asteroidi. Abbiamo una base lì, protetta naturalmente da una miriade di corpi celesti.” 
Solo in quel momento, fuori da una realtà che lo aveva imprigionato per anni, Manlio comprese che la pena più grande della sua vita era sapere che la Terra era in mano ad un governo di alieni, dal quale la gente preferiva fuggire in volontario esilio, in ogni angolo del sistema. 
“Facciamo presto, ho già perso cinque anni.” 
Carl sorrise all’amico. 
“Ci vorranno due settimane, mettiti comodo.” 
Manlio aprì la scatola che aveva preso con se dalla Suez. 
“Vuoi un sigaro?” 
 
    
 
 
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