Vrykolakas
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Vrikolakas 
Ieri. 
Camminavo già da un po’ di tempo sotto una pioggia battente, quando m’imbattei, per la prima volta, nello spoglio negozietto di anticaglie la cui insegna scolorita annunciava: ” N. Nikandros – Rigattiere”. Si trovava in una strada stretta e sporca di una parte della città a me totalmente estranea. 
Era ormai mezzanotte ma, nel negozio, c’era ancora una luce accesa ed io, sebbene il luogo avesse un aspetto poco invitante, provai l’improvviso, inspiegabile, impulso di visitarlo. 
Una volta dentro notai, a stento, la mercanzia affastellata lungo le pareti sudice e annerite, fin quando il mio sguardo non si posò sull’unica persona presente nel negozio. Era un uomo alto, magro come uno scheletro, con indosso uno strano abito nero senza più forma e il volto ricoperto da una barba folta, mentre il suo cranio era come un foglio ingiallito di carta pergamenata. La cosa che mi attirò di più furono gli occhi: Grandi, neri e lucidi. Sembravano scrutarmi dentro fin dentro l’anima, emanando una forza tutta loro. 
Cominciai a parlare, ma le parole non vollero uscire; tentai di muovermi, ma i muscoli si rifiutarono di ubbidire al cervello. L’unica cosa che riuscivo a fare era fissare quegli occhi come in preda ad un’ossessione. Fu proprio in quel momento che fui sommerso da uno stato di buia incoscienza e non ricordo cosa accadde fino a quando non mi ritrovai in strada, sotto quella pioggia battente e con in mano un oggetto piccolo e duro. 
Vagai, come inebetito, per molto tempo, fin quando non mi ritrovai davanti al portone dell’edificio in cui abitavo. Salii le scale e appena in casa, mi gettai sul letto completamente vestito cadendo, quasi subito, in un sonno profondo. 
Era tardi quando, la mattina seguente, mi svegliai con una sensazione di spossatezza e un leggero mal di gola. Ero intorpidito e indolenzito per avere dormito vestito. In mezzo alla schiena, c’era una qualche cosa piccola e dura che continuava a darmi fastidio. Mi rigirai, trovandone la causa e portai quell’oggetto alla luce. 
Era un amuleto, un rosario di perline nere con appeso un crocefisso capovolto che, al posto del Cristo, aveva l’immagine di un Satiro. Era, senza dubbio, l’oggetto che avevo preso nel negozio del rigattiere e m’impensieriva, quasi, quanto gli strani avvenimenti della notte precedente. 
Rimasi nella mia stanza tutto il giorno come in uno strano letargo. Ero accompagnato da un’insolita depressione che si trasformò, quasi, in malinconia proprio mentre il giorno stava per finire e il buio si avvicinava. Tentai, parecchie volte, di concentrarmi su questo o quel libro, ma le pagine stampate non riuscivano a interessarmi e di tanto in tanto, qualcosa si frapponeva tra gli occhi e le parole che mi sforzavo di leggere: era il volto del vecchio del negozio di anticaglie, N. Nikandros. 
Andai a letto presto, ma il sonno mi abbandonò. Per ore mi rivoltai spasmodicamente prima che, finalmente, il dormiveglia non mi reclamò, portandomi il tormento di sogni terribili. 
Ero seduto sul mio letto, nel nero nulla dello spazio interstellare e una “cosa” sibilante mi rosicchiava la gola; una “cosa” con la faccia di N. Nikandros, il negoziante. Poi precipitavo in un pozzo nero che non aveva fine e la scena svaniva solo nei suoi occhi a riempire le pareti della stanza. Così il sogno finiva lasciandomi un profondo senso di angoscia. La mattina seguente mi svegliai con la stessa apatia che avevo provato il giorno prima. Chiamai il Dottor Valle, una persona flemmatica e priva d’immaginazione, che mi visitò meccanicamente e mi prospettò la sua diagnosi. 
“Sembra anemia, my Lord”, disse quando ebbe finito, “ma non posso esserne certo. Si riposi, per qualche giorno, e potremo sapere qualcosa di più preciso”. 
Il dottore era appena uscito, quando venne a trovarmi Pietro Serra, un amico che viveva nel lato opposto della casa. Gli bastò una sola, attenta, occhiata perché i suoi occhi si spalancassero dal terrore. “Mio Dio, Ninni”, echeggiò, “questa è opera del diavolo!” Insistette per esaminarmi il collo. Poi prese uno specchio e mi fece vedere cosa aveva scoperto: due minuscole punture sulla vena giugulare. Di colpo mi tornarono alla mente i sogni della notte precedente. “Ninni”, cominciò Serra con un tono grave che appariva, quasi, ridicolo, “è successo qualcosa”! Devi dirmi tutto quello di anormale che ti è accaduto di recente. Voglio aiutarti e Dio sa se ne avrai bisogno”. Così, gli raccontai la mia bizzarra avventura al vecchio negozietto immerso nella nebbia. Quando arrivai alla descrizione di N. Nikolas, il viso olivastro del mio amico si contorse in una smorfia, mentre mormorava qualcosa che terminava così: 
“E’ ancora peggiore di quanto avevo immaginato, vedendo il tuo aspetto smunto e i segni sulla gola. Hai mai sentito parlare dei vampiri, Ninni?”. 
“Certo Pietro”, cominciai io, “ma non penserai che Lui sia un vampiro? Queste cose esistono solo nelle superstizioni e queste sono ormai superate e …”. 
M’interruppi vedendo l’occhiata che mi aveva lanciato. 
“No, non è un Vampiro”, disse Serra. 
“Così pensavo all’inizio, ma la descrizione che mi hai fatto di lui non coincide. Dimmi Ninni, ti ha dato qualcosa?”. 
Annuii. 
Cercai l’amuleto tra le carte e i libri sparsi sul tavolo e glielo porsi. Gli dette solo un’occhiata, si fece il segno della croce e lo ributtò sul tavolo. Dopo essersi frettolosamente scusato Pietro, corse in camera sua. Io mi stesi sul letto fissando il soffitto e domandandomi che cosa mi stava accadendo. L’incontro con Nikolas, i sogni terribili, le punture sul collo, lo strano comportamento di Pietro e il suo accenno alle vecchie superstizioni sui vampiri. Che cosa poteva significare tutto questo? Stavo vivendo un incubo? Dopo pochi minuti Serra era di ritorno, con un mano un libriccino rilegato in nero. Senza dire una parola, si sedette e cominciò a sfogliarlo. Io ne lessi, di sfuggita, il titolo: “Vampiri”. Alla fine Pietro trovò il paragrafo che cercava e iniziò a leggere ad alta voce: 
“Il Vrykolakas della superstizione greca”, leggeva con la sua voce modulata da un leggerissimo accento siciliano, “è il corpo non morto di un mortale perverso fino all’eccesso. Non è più vivo, ma non è neanche morto e si nutre del sangue fresco di qualche sfortunato. Contrariamente al vero Vampiro, non si rinchiude all’interno di una bara durante il giorno, ma in quel periodo è abulico e inattivo, soprattutto se la notte precedente ha mangiato. Dissimilmente dagli altri Vampiri, il Vrykolakas si nutre del corpo delle sue vittime quando tutto il sangue si è esaurito. 
Esso è inattaccabile con simboli sacri, eccezion fatta per l’immagine di nostro Signore sulla croce. Contro il mostro è ugualmente inutile il palo, il coltello e la pallottola d’argento, come qualsiasi altra arma mortale. Solo il fuoco può distruggere un Vrykolakas. Tuttavia egli è legato alla vittima da qualche vincolo, un amuleto o un feticcio stregato e la vittima è libera soltanto se il vincolo viene, in qualche modo, distrutto”. Trasalii nell’udir parlare dell’amuleto. Avrei voluto interrompere Serra, ma lui fece cenno di far silenzio e continuò: “Il Vrykolakas si differenzia dagli altri vampiri, per la pelle particolarmente simile a un papiro invecchiato, per gli occhi ipnotizzanti, per l’anormale peluria sul viso e per la sua emaciazione. E’ …”. In quel momento lanciai un grido. Serra doveva aver lasciato cadere il libro spaventato, ma non mi rendevo conto più di nulla che non fosse la descrizione del Vrykolakas contenuta in quel vecchio libro e che calzava a pennello con N. Nikandros. Un rivolo di sudore ghiacciato mi corse giù per la schiena, mentre in me si faceva spazio l’orribile verità: Nikolas era un Vrykolakas e la sua vittima ero io. “Adesso è chiaro anche a te Ninni”, disse con tono comprensivo. “Si, si”, balbettai, “ora mi è tutto chiaro. L’amuleto, distruggilo. Dev’essere quello il vincolo e il libro dice che  …”. 
Serra raccolse, dal tavolo, il rosario blasfemo, si avvicinò al camino e lo scagliò al centro delle braci. Cadde rivolto verso l’alto, seminascosto dalla cenere, mentre piccole fiamme lo lambiva tutto intorno. Pur tuttavia si trovava tra le fiamme incandescenti e a poco a poco, anche loro iniziarono a retrocedere, finché, l’oggetto, non rimase su un mucchio di carboni spenti al centro del focolare. Serra si strinse nelle spalle con aria infelice. 
“Lo temevo”, disse, “ma c’è ancora un’altra soluzione. Lo appesantirò con una pietra e poi lo getterò sul ponte del fiume Reno. Una volta nel fiume sarà sparito per sempre”. 
Prese l’amuleto e uscì. Poco dopo tornò e con aria soddisfatta disse che tutto era a posto. Ero libero da quell’oggetto infernale e soprattutto libero dagli incubi e da quell’Essere maligno. 
Passai il resto della giornata in grande serenità e andai a letto subito dopo cena, addormentandomi quasi, subito. Dormii profondamente per un’ora o giù di lì, poi fui svegliato da qualcuno che bussava alla porta. Andai ad aprire e trovai un fattorino con un pacco per me. Lo presi e ancora addormentato, lo poggiai sul tavolo senza aprirlo e tornai a letto. 
Dormii indisturbato fino a quando il sole, filtrando dalla finestra, mi svegliò la mattina seguente. Il sonno, però, era stato tormentato da incubi in cui vedevo il vecchio Nikolas intrufolarsi di nuovo nella mia camera per affondarmi i canini nella gola mentre, un nauseabondo odore di putrefazione invadeva la stanza. 
Quando mi alzai, mi accorsi del pacco che mi era stato recapitato il giorno prima. Lo aprii e una morsa di ghiaccio mi strinse la schiena. In quella scatola c’era lo spaventoso amuleto che Pietro Serra aveva lanciato nel fiume. In un attimo capii che, il sogno terrificante della notte appena trascorsa, non era per niente un sogno, ma la spaventosa realtà. 
Trascorsi l’intera giornata con l’incubo dell’attesa, perché sapevo che con l’arrivo della notte, il mostro, Nikolas, sarebbe tornato a farmi visita. 
Il Dottor Valle telefonò di nuovo. Se soltanto avesse saputo la reale causa della mia indisposizione, ne sarebbe stato tanto sconvolto da perdere la sua flemmatica compostezza. Però, mi avrebbe considerato un pazzo se gli avessi dichiarato la verità. 
Serra passò quasi tutto il giorno con me. Sedeva accanto al mio letto, mentre gli raccontavo del ritorno dell’amuleto e dei miei incubi notturni. Lui insistette per rimanere con me anche quella notte, ma rifiutai, perché avevo studiato un piano e se fosse fallito, avrei rischiato di far cadere anche il mio amico nella trappola. Quando scese la notte, pur con una certa riluttanza, Pietro si accomiatò. 
Rimasi, a lungo, disteso nel letto al buio. Sentivo che, ormai per me, non era lontana la fine, perché non ero in grado di sostenere altre visite del Vrykolakas e se il mio piano fosse fallito, ben presto il mio sangue sarebbe finito e quella “cosa” sarebbe tornata per divorarmi. 
Guardai la finestra dal lato opposto della stanza. Lì, illuminato dalla luce dei lampioni, giù in strada, intravidi un volto che conoscevo bene. Quel cranio giallo con la barba, quegli occhi malvagi, potevano appartenere solo al mio persecutore. 
Cominciai a cadere in una sorte d’ipnosi. Mi si abbassarono le palpebre e si rilassarono i muscoli in tensione. Non avevo alcuna volontà di lottare, sebbene sentissi nel petto tutto il peso del terrore che quell’essere m’infondeva, fin quando caddi in uno stato di completa incoscienza. 
Lentamente e non so quanto tempo dopo, con tanta fatica, mi risvegliai. Sentivo nell’aria l’odore acido della sua bava, mentre provavo un dolore fortissimo alla gola. Il pasto era stato servito e adesso, quell’essere immondo, era sparito nel buio. Era, però, come se ne sentissi ancora la presenza. Mi sentivo osservato da tutte le angolazioni possibili. Fu in quel momento che realizzai quanto la mia paura e la disperazione mi dettavano. Dovevo agire immediatamente. Gettai via le coperte e balzai fuori dal letto. Debole e stordito ma, consapevole di quello che avrei fatto. Mi vestii in pochi minuti. Scivolai fuori di casa e iniziai a camminare lungo la strada buia. I lampioni erano spenti e in giro non s’incrociava alcun passante, né si udivano auto o rumori. Ero solo. Sentivo l’influenza di Nikolas che mi attirava nella sua tana, come un magnete attira il ferro. Eppure, a tutt’oggi, non sono riuscito a ricostruire il percorso di quella notte: Arrivai in quel negozio, ma non ricordo come. 
La porta non era chiusa a chiave e riuscii a entrare, non visto, in quel locale polveroso. Andai dritto verso la tenda che nascondeva il retrobottega ed entrai. Su un lungo divano, al centro della stanza, era disteso il Vrykolakas, con il viso giallo, l’espressione maligna e immobile come se dormisse. 
Spaventato e quasi inebetito uscii dalla camera del mostro. Ero impaurito, ma sveglio e dovevo affrettarmi a fare quanto mi ero prefisso, prima che quella “creatura” si accorgesse di me. Ricordavo che il vecchio libro di Serra recitava: 
“Solo il fuoco può completamente distruggere un Vrykolakas”. 
Il negozio di Nikandros era una vera e propria esca. Un fiammifero, acceso su uno dei cumuli di libri che erano sparsi per tutto quell’antro maleodorante di muffa, avrebbe alimentato una fiamma che si sarebbe velocemente estesa alle vecchie pareti di legno secco. Tutto sarebbe divenuto un rogo purificatore. 
Ammucchiai alcuni vecchi volumi sul pavimento e avvicinai un fiammifero alle loro pagine. Il primo fuoco si accese quasi subito e iniziò a divorare quella carta con avidità. Alimentai, quasi con frenesia, la prima fiamma con altri libri e con pezzi di legno degli scaffali. Le lingue di fuoco, divennero fiamme per poi innalzarsi con vigore fino al soffitto, propagandosi rapidamente. 
Ero così intento e abbagliato da quanto stavo facendo, che non udii per nulla il lieve rumore della tenda che si apriva alle mie spalle. Ebbi appena il tempo per voltarmi e vedere Nikandros, in piedi sulla soglia del retrobottega che mi osservava come inebetito, roteando i suoi occhi accecati dalle fiamme. Con un ringhio animalesco si slanciò avanti. 
Indietreggiai, mentre le fiamme, crepitando, bruciavano le pareti tingendo di rosso quell’inferno. Nikolas, con le mani protese verso la mia gola, inciampò e un tizzone lo colpì in pieno. La sua barba prese fuoco e come una torcia, le fiamme si avvolsero al suo vestito nero. Lanciò un solo urlo, orribile e prolungato, poi, in un’esplosione di colori e lapilli scomparve come inghiottito dalle bocche dell’Inferno. Spalancai la porta e mi lanciai fuori appena in tempo. E corsi, corsi, corsi a perdifiato. Corsi fino a sentirmi esausto cadendo in terra. Svenni e rinvenni in un letto d’ospedale, con la testa bendata e un profondo senso di stanchezza. Iniziai ad articolare qualche parola di aiuto, ma mi resi conto che non emettevo alcun suono. Venne un’infermiera che mi sorrise carezzandomi la fronte. Mi disse che, alle prime luci dell’alba, ero stato trovato in strada e mi avevano portato lì. Avevo una profonda ferita alla testa. Quel giorno non mi fu permesso di ricevere visite, ma il pomeriggio seguente venne a trovarmi Pietro. Gli raccontai tutta la faccenda. 
Durante il mio racconto lui rimase tranquillamente seduto, annuendo con un lieve cenno della testa, di tanto in tanto a qualche particolare interessante. Quando, il giorno dopo, tornò a trovarmi, mi portò dei quotidiani che iniziammo a sfogliare con avidità. Non trovammo alcun cenno all’incendio del negozio del rigattiere. Eppure le lingue di fuoco erano così violente che nessuna forza di questa terra e nemmeno di quelle infernali, potevano avere salvato quel locale da una completa distruzione. 
 
 
 
Oggi. 
Così finisce il mio racconto ma, a volte, perfino adesso sogno e dubito che quell’orrida presenza di N. Nikandros abbia avuto fine. 
Eppure quel mostro è certamente sparito, o incenerito tra le fiamme di quell’enorme rogo perché, per quanto io possegga ancora il suo amuleto infernale che rappresentava il nostro legame, non è mai venuto a trovarmi. 
Tutto quel terrore e tutta l’angoscia passata mi hanno, quasi sicuramente, lasciato delle conseguenze. 
Sto perdendo tutti i capelli e non mi sento più bene come una volta. 
Il colorito del viso inizia a diventare giallastro e ho sempre la gola riarsa dalla sete. 
Il medico dice che non è niente e che passerà. 
Lo spero tanto. 
 
 
 
 
Ninni Raimondi